mercoledì 24 dicembre 2008

VIA DI QUI. CATTIVI MAGISTRATI E CATTIVI GIORNALISTI


17.12.2008
VIA DI QUI. CATTIVI MAGISTRATI E CATTIVI GIORNALISTI
di salvo smentita

Carlo Vulpio, giornalista del Corriere della Sera che il direttore Paolo Mieli ha rimosso dall'inchiesta sul caso Catanzaro, scrive la sua. Ne ha per tutti, colleghi compresi

Dal blog di Carlo Vulpio

Avevo fatto una battuta: avevo detto: i giornalisti, a differenza dei magistrati, non possono essere trasferiti. Avrei fatto meglio a stare zitto. Da lì a poco sarei stato “trasferito” anch’io.

E’ stato la sera del 3 dicembre, dopo che sul mio giornale era uscito un mio servizio da Catanzaro sulle perquisizioni e i sequestri ordinati dalla procura di Salerno nei confronti di otto magistrati calabresi e di altri politici e imprenditori.

Come sempre, non solo durante questa inchiesta, ma perché questo è il mio modo di lavorare, avevo “fatto i nomi”. E cioè, non avevo omesso di scrivere i nomi di chi compariva negli atti giudiziari (il decreto di perquisizione dei magistrati di Salerno, che trovate sul blog di Carlo Vulpino in versione integrale) non più coperti da segreto istruttorio. Tutto qui. Nomi noti, per lo più. Accompagnati però da qualche “new entry”: per esempio, Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, Mario Delli Priscoli, procuratore generale della Corte di Cassazione, Simone Luerti, presidente dell’Associazione nazionale magistrati.

Con una telefonata, il giorno stesso dell’uscita del mio articolo, la sera del 3 dicembre appunto, invece di sostenermi nel continuare a lavorare sul “caso Catanzaro” (non chiamiamolo più “caso de Magistris”, per favore, altrimenti sembra che il problema sia l’ex pm calabrese e non ciò che stanno combinando a lui, a noi, alla giustizia e alla società italiana), invece di farmi continuare a lavorare – dicevo –, come sarebbe stato giusto e naturale, sono stato sollevato dall’incarico.

Esonerato. Rimosso. Congedato. Trasferito.

Con una telefonata, il mio direttore, Paolo Mieli, ha dichiarato concluso il mio viaggio fra Catanzaro e Salerno, Potenza e San Marino, Roma e Lamezia Terme. Un viaggio cominciato il 27 febbraio 2007, quando scoppiò “Toghe Lucane” (la terza inchiesta di de Magistris, con “Operazione Poseidone” e “Why Not”). Un viaggio che mi fece subito capire che da quel momento in poi nulla sarebbe stato più come prima all’interno della magistratura e in Italia.

Tanto è vero che successivamente ho avvertito la necessità di scrivere un libro (“Roba Nostra”, Il Saggiatore), che, dicevo mentre lo consegnavo alle stampe, “è un libro al futuro”. Una battuta anche questa, certo, perché come si fa a prevedere il futuro? In un libro, poi, che si occupa di incroci pericolosi tra politica, giustizia e affari sporchi… Ma si vede che negli ultimi tempi le battute mi riescono piuttosto bene, visto che anche questa, come quella sul “trasferimento” dei giornalisti, si è avverata.

Avevo detto – e lo racconto in “Roba Nostra” – che in Basilicata l’anno scorso è stato avviato un esperimento, che, se nessuno fosse intervenuto, sarebbe stato riprodotto da qualche altra parte in maniera più ampia e più disastrosa.

E’ accaduto che mentre la procura di Catanzaro (c’era ancora de Magistris) stava indagando su un bel numero di magistrati lucani, di Potenza e di Matera, la procura di Matera (gli indagati) si è messa a indagare sugli indagatori (de Magistris). Come? Surrettiziamente. E cioè? Si è inventato il reato di “associazione a delinquere finalizzato alla diffamazione a mezzo stampa” e ha messo sotto controllo i telefoni di cinque giornalisti (me compreso) e un ufficiale dei carabinieri (quello delegato da de Magistris per le indagini sui magistrati lucani). Così facendo, i magistrati indagati hanno potuto conoscere cosa si dicevano gli indagatori (de Magistris e l’ufficiale delegato a indagare).

Avvertivo: guardate che così va a finire male.

Chiedevo: caro Csm, caro Capo dello Stato, intervenite subito.

Niente. Nemmeno una parola, un singulto, un cenno. Nemmeno quando era chiaro a tutti che quei magistrati lucani, al di là di ogni altra considerazione, vedevano ormai compromessa la loro terzietà. Un magistrato - si dice sempre, e a ragione -, come la moglie di Cesare, deve non soltanto “essere”, ma anche “apparire” imparziale, terzo, non sospettabile di alcunché. Per i magistrati lucani, invece, non è così. Nonostante siano parti in causa, essi continuano a indagare sugli indagatori, chiedono e ottengono proroghe di indagini (siamo alla quarta) perché, dicono, il reato che si sono inventati, l’associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa, è complicatissimo. E rimangono al proprio posto nonostante le associazioni regionali degli avvocati ne chiedano il trasferimento, per consentire un funzionamento appena credibile della giustizia.

Niente. Si è lasciato incancrenire il problema ed ecco replicato l’esperimento a Catanzaro. La “guerra” fra procure non è altro che la riproduzione di quel corto circuito messo in atto da indagati che indagano sui loro indagatori, affinché, rovesciato il tavolo e saltate per aria le carte, non si sappia più chi ha torto e chi ha ragione perché, appunto, “c’è la guerra”. E dopo la “guerra”, ecco la “tregua” o, se preferite, “l’armistizio” (così, banalmente ma non meno consapevolmente, tutti i giornali, salvo rarissime eccezioni di singoli commentatori).

Guerra e tregua. E’ questo il titolo dell’ultima, penosa sceneggiata italiana su una vicenda, scrivo in “Roba Nostra”, che è la “nuova Tangentopoli” italiana. Quando, sei mesi fa, è uscito il libro, qualcuno mi ha chiesto se non esagerassi. Adesso, l’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dichiara: “Ciò che sta accadendo oggi è peggio di Tangentopoli”. E Primo Greganti, uno che se ne intende, ammette anche lui, che “sì, oggi è peggio di Tangentopoli”.

Infine, una curiosità, o una coincidenza, o un suggerimento per una puntata al gioco del Lotto, fate voi.

Mi hanno rimosso dal servizio che stavo seguendo a Catanzaro il 3 dicembre 2008. Esattamente un anno prima, il 3 dicembre 2007, Letizia Vacca, membro del Csm, anticipava “urbi et orbi” la decisione che poi il Csm avrebbe preso su Clementina Forleo e Luigi de Magistris. “Sono due cattivi magistrati, due figure negative”, disse la Vacca. E Forleo e de Magistris sono stati trasferiti. Per me, più modestamente, è bastata una telefonata. Ma diceva più o meno la stessa cosa. Diceva che sono un cattivo giornalista.

Carlo Vulpio

Aggiornamento. Sempre dal blog di Carlo Vulpio

E i rappresentanti dei giornalisti, cosa fanno?

Molti di voi in questi giorni mi chiedono: ma cosa hanno fatto i giornalisti, cos'ha fatto il Comitato di Redazione (l'organo interno eletto dai giornalisti di una testata, che li rappresenta nei confronti della direzione politica e dell'editore) per questa vicenda?

Rispondo: finora non hanno fatto nulla. Né i giornalisti, né il CdR.

Per questo ho scritto al CdR una lettera, in cui non rinuncio certo alla "tutela sindacale" (avercela!), ma con cui esprimo tutto il mio scetticismo - visti i precedenti - sulla reale possibilità che il CdR "faccia qualcosa".

Questa lettera doveva restare una lettera riservata al solo CdR.

Senonché, un componente del CdR medesimo, sentendosi colpito da quelle che definisce "le contumelie di Vulpio", ha pensato bene di diramare alla redazione completa (380 giornalisti) una sua letterina tutta offesa per ciò che gli veniva attribuito.

A questo punto, sono stato (davvero) costretto a diffondere in tutta la redazione la mia lettera al CdR e un altro scambio epistolare tra due colleghi del Corriere, Enzo Marzo (che sul suo sito Critica Liberale ha affrontato la questione e mi ha appoggiato in pieno) e Massimo Alberizzi, che chiedeva lumi in seguito alle cose (false) riferitegli da questo membro del CdR sul mio conto.

Con la pubblicazione di tutto questo "carteggio" è stata ripristinata la verità dei fatti, l'intera redazione ha potuto capire di cosa stessimo parlando e il membro del CdR (che parla di "caso Vulpio", quando invece il "caso" è lui) è stato sbugiardato "in diretta".

Ora, se tutto questo è stato portato a conoscenza di 380 giornalisti (più tutte le altre persone che ognuno intenderà eventualmente rendere partecipi della story), mi chiedo perché mai dovrei privare voi, i miei affezionati venticinque lettori, di una lettura così istruttiva... E infatti non ve ne privo. Vi suggerisco soltanto un'avvertenza per l'uso: leggete prima la mia lettera al CdR, poi la lettera del membro del CdR medesimo, infine lo scambio di mail Marzo-Alberizzi. E fatevi un'idea.

Carlo Vulpio

Firma la petizione
http://www.firmiamo.it/siamotutticarlovulpio


fonti:
http://www.carlovulpio.it
http://www.ilbarbieredellasera.com


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