mercoledì 30 giugno 2010

Sette anni, ne dimostra di più - Marco Travaglio

Dunque, anche per la Corte d’appello di Palermo, Marcello Dell’Utri è un mafioso. Dopo cinque giorni di battaglia in camera di consiglio, i giudici più benevoli che lui abbia mai incontrato hanno stabilito quanto segue: fino al 1992, prima in casa Berlusconi, poi nella Fininvest, poi in Publitalia, ha sicuramente lavorato per Cosa Nostra (la vecchia mafia dei Bontate e Teresi, e la nuova mafia dei Riina e Provenzano) e contemporaneamente per il Cavaliere palazzinaro, finanziere, editore, tycoon televisivo.

Dopo il 1992, cioè negli anni delle stragi politico-mafiose e della successiva nascita di Forza Italia (un’idea sua), mancano le prove che abbia seguitato a farlo per il Cavaliere politico. Questo, in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, è quanto si può dire a una prima lettura del suo dispositivo.
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Qualche sito e qualche cronista (tra cui, sorprendentemente, quello di Sky) si sono subito affannati a concludere che “è stato smentito Spatuzza”: ma questo, finchè non saranno note le motivazioni, non lo può dire nessuno. Molto più probabile che i giudici abbiano stabilito, com’è giusto, che le sue parole – né confermate né smentite – da sole non bastano, senza riscontri. Riscontri che avrebbe potuto fornire Massimo Ciancimino, se i giudici Dell’Acqua, Barresi e La Commare avessero avuto la compiacenza di ascoltarlo, prima di decidere apoditticamente, senza nemmeno averlo guardato in faccia, che è “inattendibile” e “contraddittorio”.

Riscontri che già esistevano prima che Spatuzza e Ciancimino parlassero: oltre alle dichiarazioni ultra-riscontrate di Nino Giuffrè e altri collaboratori sul patto Provenzano-Dell’Utri, è proprio sul periodo successivo al 1992 che i magistrati hanno raccolto la maggiore quantità di fatti documentati e inoppugnabili: le intercettazioni del mafioso Carmelo Amato, provenzaniano di ferro, che fa votare Dell’Utri alle europee del 1999; le intercettazioni dei mafiosi Guttadauro e Aragona che organizzano la campagna elettorale per le politiche del 2001 e parlano di un patto fra Dell’Utri e il boss Capizzi nel 1999; le agende di Dell’Utri che registrano due incontri a Milano col boss Mangano nel novembre del 1994, mentre nasceva Forza Italia; la raccomandazione del baby calciatore D’Agostino per un provino al Milan, caldeggiato dai Graviano e propiziato da Dell’Utri; e così via. Vedremo dalle motivazioni come i giudici riusciranno a scavalcare questi macigni.
Ora, per Dell’Utri, il carcere si avvicina. Quello di oggi è l’ultimo giudizio di merito sulla sua vicenda: resta quello di legittimità in Cassazione, ma le speranze di farla franca attraverso una delle tante scappatoie previste dall’ordinamento a maglie larghe della giustizia italiana sono ridotte al lumicino. La prescrizione, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa doppiamente aggravato dall’elemento delle armi e da quello dei soldi, scatta dopo 22 anni e mezzo dalla data ultima di consumazione del reato: quindi dal 1992. Il calcolo è presto fatto: se la Cassazione deciderà che davvero il reato si interrompe nel 1992, la prescrizione scatterà nel 2014-2015, quanto basta alla Suprema Corte per confermare definitivamente la condanna a 7 anni. Che non potranno essere scontati ai domiciliari secondo la norma prevista dalla ex Cirielli per gli ultrasettantenni (Dell’Utri compirà 70 anni nel 2011), perché non vale per i reati di mafia (altrimenti sarebbero a casa anche Riina e Provenzano).

Se invece la Cassazione cassasse senza rinvio la condanna, Dell’Utri avrebbe risolto i suoi problemi. Ma c’è pure il caso che la Cassazione cassi la sentenza con rinvio, accogliendo il prevedibile ricorso della Procura generale contro l’assoluzione per i fatti post-1992. Nel qual caso si celebrerebbe un nuovo appello, ma per Dell’Utri sarebbe una magra consolazione: rinvierebbe soltanto di un paio d’anni l’amaro calice del carcere, visto che, allungandosi il periodo del suo reato, si allungherebbe anche il termine di prescrizione. Semprechè, naturalmente, non venga depenalizzato il concorso esterno in associazione mafiosa.

Questa sentenza, per quanto discutibile, compromissoria e anche un po’ furbetta, aiuta a comprendere la differenza che passa tra la verità giudiziaria e quella storica, politica, morale. Nessuna persona sana di mente potrebbe credere, alla luce del dispositivo, che Cosa Nostra sia un’accozzaglia di squilibrati che si alleva un concorrente esterno, lo infiltra nell’abitazione e nelle aziende di Berlusconi per tutti gli anni 70 e 80 fino al 1992 e poi, proprio quando diventa più utile, cioè quando s’inventa un partito che riempie il vuoto lasciato da quelli che avevano garantito lunga vita alla mafia fino a quel momento, lo scarica o se ne lascia scaricare senza colpo ferire.

Una banda di pazzi che per un anno e mezzo mettono bombe e seminano terrore in tutt’Italia per sollecitare un nuovo soggetto politico che rimpiazzi quelli decimati da Tangentopoli e dalla crisi finanziaria e politica del 1992, e quando questo soggetto politico salta fuori dal cilindro non di uno a caso, ma del vecchio amico Dell’Utri, interrompono le stragi, votano in massa per Forza Italia, ma rompono i rapporti col vecchio amico Dell’Utri, divenuto senatore e rimasto al fianco del nuovo padrone d’Italia.

I giudici più benevoli mai incontrati da Dell’Utri, dopo cinque anni di appello e cinque giorni di camera di consiglio, non hanno potuto evitare di confermare che, almeno fino al 1992, esistono prove insuperabili (perfino per loro) della mafiosità di Dell’Utri. Cioè dell’uomo che ha affiancato Berlusconi nella sua scalata imprenditoriale, finanziaria, editoriale, televisiva. E che nel 1992-’93 ideò Forza Italia, nel 1995 fu arrestato per frode fiscale e nel 1996 entrò in Parlamento per non uscirne più.
Intervistato qualche mese fa da Beatrice Borromeo per il Fatto quotidiano, Dell’Utri ha candidamente confessato: “A me della politica non frega niente. Io mi sono candidato per non finire in galera”. Ecco, mentre i giudici di Palermo scrivono le motivazioni, ora la palla passa alla politica. Un’opposizione decente, ma anche una destra decente, semprechè esistano, dovrebbero assumere subito due iniziative.

1) Inchiodare Silvio Berlusconi in Parlamento con le domande a cui, dinanzi al Tribunale di Palermo, oppose la facoltà di non rispondere. Perché negli anni 70 si affidò a Dell’Utri (e a Mangano)? Perché, quando scoprì la mafiosità di almeno uno dei due (Mangano), non cacciò anche l’altro che gliel’aveva messo in casa (Dell’Utri), ma lo promosse presidente di Publitalia e poi artefice di Forza Italia? Da dove arrivavano i famosi capitali in cerca d’autore degli anni 70 e 80? Si potrebbe pure aggiungere un interrogativo fresco fresco: il presidente del Consiglio è forse ricattato o ricattabile anche su queste vicende (ieri il legale di Dell’Utri, Nino Mormino, faceva strane allusioni al prodigarsi del suo assistito fino al 1992 per “salvare dalla mafia Berlusconi e le sue aziende”)?

2) Pretendere le immediate dimissioni di Marcello Dell’Utri dal Parlamento. Quello di oggi non è un avviso di garanzia, una richiesta di rinvio a giudizio, un rinvio a giudizio, una sentenza di primo grado: è la seconda e ultima sentenza di merito. Che aspetta la politica a fare le pulizie in casa? Che i carabinieri irrompano a Palazzo Madama per prelevare il senatore e condurlo all’Ucciardone?

http://santagatando.files.wordpress.com/2009/12/mangano.jpg

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/06/29/sette-anni-ne-dimostra-di-piu/33420/

domenica 20 giugno 2010

Lucio Dalla - Cara



cosa ho davanti,
non riesco piu' a parlare
dimmi cosa ti piace,
non riesco a capire,
dove vorresti andare
vuoi andare a dormire
quanti capelli che hai,
non si riesce a contare
sposta la bottiglia
e lasciami guardare
se di tanti capelli,
ci si puo' fidare
conosco un posto nel mio cuore
dove tira sempre il vento
per i tuoi pochi anni
e per i miei che sono cento
non c'e' niente da capire,
basta sedersi ed ascoltare
perche' ho scritto una canzone
per ogni pentimento
e debbo stare attento
a non cadere nel vino
e finir dentro ai tuoi occhi,
se mi vieni piu' vicino...
la notte ha il suo profumo
e puoi cascarci dentro
che non ti vede nessuno
ma per uno come me, poveretto
che voleva prenderti per mano
e cascare dentro un letto...
che pena...che nostalgia
non guardarti negli occhi
e dirti un'altra bugia
a...almeno non ti avessi incontrato
io che qui sto morendo
e tu che mangi il gelato
tu corri dietro il vento
e sembri una farfalla
e con quanto sentimento

ti blocchi e guardi la mia spalla
se hai paura a andar lontano,
puoi volarmi nella mano
ma so' gia' cosa pensi,
tu vorresti partire
come se andare lontano
fosse uguale a morire
e non c'e' niente di strano
ma non posso venire
e la notte cominciava
a gelare la mia pelle
una notte madre che cercava
di contare le sue stelle
io li sotto ero uno sputo
e ho detto ole' sono perduto
tu corri dietro il vento
e sembri una farfalla
e con quanto sentimento
ti blocchi e guardi la mia spalla
se hai paura a andar lontano,
puoi volarmi nella mano
la notte sta' morendo
ed e'cretino cercare di fermare
le lacrime ridendo
ma per uno come me l'ho gia' detto
che voleva prenderti per mano
e volare sopra un tetto
lontano si ferma un treno
ma che bella mattina
il cielo e' sereno
buonanotte, anima mia
adesso spengo la luce
e cosi' sia...

mercoledì 16 giugno 2010

WikiLeaks to release video of deadly US Afghan attack

Whistleblowing website says it is still working to prepare the film of the bombing of the Afghan village of Garani in May 2009
Wikileaks
Wikileaks has said it plans to release a video of a US air strike in Afghanistan which allegedly killed many children. Photograph: public domain

The whistleblowing website WikiLeaks says it plans to release a secret military video of one of the deadliest US air strikes in Afghanistan in which scores of children are believed to have been killed.

WikiLeaks announced the move in an email to supporters. It said it fears it is under attack after the US authorities said they were searching for the site's founder, Julian Assange, following the arrest of a US soldier accused of leaking the Afghanistan video and another of a US attack in Baghdad in which civilians were killed.

WikiLeaks released the Baghdad video in April, prompting considerable criticism of the US military. It says it is still working to prepare the film of the bombing of the Afghan village of Garani in May 2009.

The Afghan government said about 140 civilians were killed in Garani, including 92 children. The US military initially said that up to 95 people died, of which about 65 were insurgents. However, American officials have since wavered on that claim and a subsequent investigation admitted mistakes were made during the attack.

The video could prove to be extremely embarrassing to the US military and risks weakening Afghan support. The US said it was targeting Taliban positions when it used weapons that create casualties over a wide area, including one-tonne bombs and others that burst in the air. But two US military officials told a newspaper last year that no one checked to see whether there were women and children in the buildings.

The US commander, General David Petraeus, said a year ago that the military's video of the attack would be made public as evidence that the US assault on Garani was justified. But it was not released.

In an email to supporters, Assange said WikiLeaks has the Garani video and "a lot of other material that exposes human rights abuses by the US government".

Last week, it was revealed that US authorities are trying to make contact with Assange to press him not to publish information the Pentagon says could endanger national security. Assange cancelled an appearance in Las Vegas last Friday.

In his email, Assange also calls on supporters to protect the website from "attack" by the authorities following the detention of a US soldier, Bradley Manning, who was arrested in Iraq after admitting to a former hacker that he leaked the Garani and Baghdad videos to WikiLeaks.


http://www.guardian.co.uk/media/2010/jun/16/wikileaks-us-military-afghanistan-garani


Kyrgyzstan killings are attempted genocide, say ethnic Uzbeks

Fractured demographics and economic success of minority underpinned volatile country, say those targeted by mobs
An ethnic Uzbek walks amidst debris of a ruined building in the  city of Osh

An ethnic Uzbek boy walks amid debris of a ruined building in Osh, Kyrgyzstan. Photograph: Kazbek Basayev/Reuters

It was early afternoon when the mob surged down an alley of neat rose bushes and halted outside Zarifa's house. The Kyrgyz men broke into her courtyard and sat Zarifa down next to a cherry tree. They asked her a couple of questions. After confirming she was an ethnic Uzbek, they stripped her, raped her and cut off her fingers. After that they killed her and her small son, throwing their bodies into the street. They then moved on to the next house.

"They were like beasts," Zarifa's neighbour, Bakhtir Irgayshon, said today, pointing to the gutted bedframe where she had been assaulted. A few pots and pans remained; the rest of the family home was a charred ruin. Zarifa's husband, Ilham, was missing, Irgayshon said, probably dead. Only his mother, Adina, survived the Kyrgyz-instigated conflagration that engulfed the neighbourhood of Cheremushki last Friday.

The scale of the ethnic killing that took place in Osh – as well as in other towns and villages in southern Kyrgyzstan – was grimly obvious. In the next street were the remains of another victim. He burned to death in his bed. Not much was left, only a jigsaw-like spine and hip. Nearby, Uzbek survivors were retrieving the bodies of seven small children. They had been incinerated, together with their mother, while cowering in a dark cellar.

Witnesses said the attacks by the Kyrgyz population on the Uzbek minority were attempted genocide.

The violence erupted in Osh last Thursday evening, possibly ignited by a row in a casino. But much of it appeared co-ordinated and planned, Uzbeks said. The attacks took the prosperous outlying Uzbek areas of town unawares.

"It started on Friday lunchtime," said Rustam, an Uzbek lawyer. "It came in three distinct waves. The Kyrgyz entered Cheremushki district driving an armoured personnel carrier. This paved the way. Several of them were wearing army uniforms. At first we felt relieved. Someone had come to rescue us, we thought! Then the BKR opened fire and started shooting people randomly.

"Behind them was the second wave. This was a mob of about 300 Kyrgyz youths armed with automatic weapons. Most were very young – between 15 and 20 years old. The third wave was made up of looters and included women and young boys. They stole everything of value, piling it into cars. Then they set our houses on fire."

According to Rustam the official toll from the riots – 178 dead and 1,800 injured – is a woeful underestimate. In reality, around 2,000 Uzbeks were slaughtered, he said, as the pogroms quickly spread from Osh to Jalal-Abad, 25 miles away, and other Uzbek villages in the south. Rustam said: "I carried 27 bodies myself. They were just bones. We are talking here about genocide."

With the violence largely now spent, and only the occasional gunshot disturbing Osh's evening curfew, survivors debated who was to blame. Some suggested Kyrgyzstan's ousted president, Kurmanbek Bakiyev, was behind them – describing the violence as a premeditated attempt by him to take revenge on the new leadership. Bakiyev fled the country in April after bloody protests in the capital, Bishkek. His supporters remain in control in much of the south. They dominate Osh's monoethnic Kyrgyz police and power structures, and also control the local mayor's office.

Few believe the riots could have taken place without the local administration's connivance. But it is clear that other grievances are at play. Ethnic Uzbeks make up 15% of Kyrgyzstan's 5.6 million population, and dominate the towns of Osh and Jalal-Abad. These settlements near the Fergana valley ended up in Kyrgyzstan by accident – when Lenin dumped them there in 1924.

"We're hardworking people. We were never nomadic like the Kyrgyz. We never lived in yurts. For the past 2,000 years we've built stone houses," Rustam said. He acknowledged that the town's Uzbeks were usually better off than their Kyrgyz neighbours. "Since the Silk Road, we've been involved in commerce and trade. We are successful. The Kyrgyz are jealous and resent this."

In the centre of Osh, Uzbek enterprises were in ruins. Shops marked with "KG" for Kyrgyz had been spared. Oktam Ismailova managed to save her home from the flames by sloshing water on her roof. A brick thrown through the window hit her father on the head. He survived. "We can't believe what happened. We are in shock," she said.

When the trouble started, thousands of Uzbeks fled to the Uzbekistan border, just three miles from Osh. Not everyone made it: one witness described how two Uzbek youths drove into a Kyrgyz mob in the centre of town. "They pulled the two Uzbek boys out of the car, and killed them in less than five minutes using sticks and knives. Then they dumped them in the Ak-Bura river," said Maya Tashbolotova, who watched, peering over the fence of her guesthouse.

So far, tens of thousands of refugees have crossed into Uzbekistan. According to Unicef, 90% of them are women, children and the elderly. Today, Uzbek guards sealed the border, a 5ft barbed wire fence. Nearby, Uzbek refugee children were washing in a stream while an old lady beaten in the face was being treated. The mood was one of anger, disbelief and betrayal. Many of the girls arriving at the border had been raped, witnesses said.

"Why did I train to be a surgeon? Was it for this?" said a 35-year-old Uzbek doctor, who declined to be named, crying quietly in the corner of his temporary surgery. The doctor said that many victims had been shot in the face and head. A nurse showed footage on a mobile phone of an Uzbek man who had been doused in kerosene and set alight. His head and arms were blackened stumps. He had no eyes. But he lived for several days, dying two days ago in agony.

"We have been discriminated against for 20 years," the doctor said, referring to the ethnic riots that took place near Osh in 1990, just after the breakup of the Soviet Union. Recently, he said, Kyrgyz chauvinism had grown, fuelled by the weakness of the government, and by a fear that the Uzbek minority was becoming too strong and was prone to secessionist-minded leaders.

There was not much sign of humanitarian relief today, with Kyrgyz drivers too scared to enter Uzbek neighbourhoods. Uzbeks had demarcated their territory by felling maple trees and building makeshift barricades with burned-out cars. Nearby, Kyrgyz soldiers had set up checkpoints in a post-facto show of strength. Some Kyrgyz locals blamed the riots on Uzbek youths, who they said ransacked a local casino.

Back in Cheremushki, Rustam said the events of the last week heralded a return to barbarism in an age seemingly governed by international rules and institutions. Asked who was to blame, he said: "It was the state against us. It was the whole system. It was everything."


http://www.guardian.co.uk/world/2010/jun/16/kyrgyzstan-killings-attempted-genocide-uzbeks

Le parole che non vogliono farti sentire

Saverio Tommasi ha raccolto in un libro, liberamente scaricabile in PDF, le migliori (peggiori) intercettazioni dal 1983 a oggi. L'obiettivo è quello di fare comprendere a tutti la loro importanza, con il fine di impedire al governo in carica di varare una legge pesantemente restrittiva rispetto al loro utilizzo, indispensabile per la ricerca delle prove e dei colpevoli.
Da Berlusconi a Dell'Utri, passando per Vittorio Mangano e la D'Addario. Da Fassino a Consorte, da Moggi ai poliziotti in servizio al G8 di Genova. Ci sono tutte. Scaricate la vostra copia.

Il libro è preceduto da un'introduzione scritta da Saverio Tommasi ma mutuata da alcune conversazioni intercorse tra lui e Piero Luigi Vigna, presidente Emerito della Corte di Cassazione e già Procuratore nazionale antimafia.

Vi invito a scaricare il libro e chiedere ai vostri amici di fare altrettanto. Diffondete le intercettazioni. Vogliono toglierci la parola occultando i loro segreti.
Affinché le informazioni non passino sulla nostra testa ma attraverso le nostre mani.

Saverio Tommasi

http://www.saveriotommasi.it/blog/intercettazioni/

Blu Notte L'Ombra Oscura Della P2 - Gelli, Berlusconi, Poteri Occulti

martedì 15 giugno 2010

Haiti, un terremoto artificiale provocato dagli Usa?

Secondo Russia Today, il presidente del Venezuela, Hugo Chávez Frías, ha dichiarato che è possibile che gli Stati Uniti abbiano provocato la serie di terremoti, della scorsa settimana, nei Caraibi, tra cui quello che ha colpito Haiti.
Secondo ViveTv, è l'esercito russo che ha parlato di questa possibilità. In ogni caso, Venezuela, Bolivia e Nicaragua hanno chiesto la convocazione urgente del Consiglio di sicurezza.
La commissione dovrebbe esaminare queste accuse, e l'invasione "umanitaria" di Haiti da parte delle truppe statunitensi.

Stranamente, la fonte TV venezuelana indica come fonte delle sue accuse l'esercito russo, mentre la televisione russa indica come origine delle stesse accuse il presidente Chavez.

Una relazione della Flotta russa del Nord rivelerebbe che il terremoto che ha devastato Haiti è inequivocabilmente "il risultato di un test, da parte della U. S. Navy, della sua arma sismica".

La Flotta del Nord osserva i movimenti e le attività navali degli americani nei Caraibi, dal 2008 quando gli Stati Uniti hanno annunciato la loro intenzione di ricostruire la Quarta Flotta che fu sciolta nel 1950. La Russia aveva reagito un anno più tardi, riprendendo nella regione le esercitazioni della sua flotta, di cui fa parte l'incrociatore atomico lancia-missili Pietro il Grande; esercitazioni sospese dopo la fine della Guerra Fredda.

Dalla fine degli anni '70, gli Stati Uniti hanno enormemente migliorato la ricerca sulle armi sismiche.

Secondo questo rapporto russo, al giorno d'oggi gli USA utilizzano generatori di impulsi, al plasma e a risonanza, in tandem con bombe Shockwave (a onde di choc)[1]

Il rapporto mette a confronto due esperimenti condotti dalla U.S. Navy la settimana scorsa: un terremoto di magnitudo 6,5 vicino alla città di Eureka, California, che non ha fatto vittime, e il terremoto dei Caraibi che ha fatto almeno 140 000 morti.

Come spiega il rapporto, è molto probabile che la U.S. Navy fosse pienamente consapevole dei danni che questa esperienza poteva provocare ad Haiti.

Per questo, la U.S. Navy aveva inviato in anticipo sull'Isola una postazione al comando del generale P.K. Keen, comandante in seconda del SouthCom (Southern Command), per sorvegliare le possibili operazioni di soccorso.

Per quanto riguarda l'obiettivo finale di questi esperimenti, dice il rapporto, si trattava della pianificazione della distruzione dell'Iran per mezzo di una serie di terremoti al fine di neutralizzare l'attuale governo islamico.

Secondo il rapporto, il sistema sperimentale degli Stati Uniti Haarp (High Frequency Active Auroral Research Program) permetterebbe inoltre di creare delle anomalie climatiche al fine di provocare inondazioni, siccità e uragani [2]

Secondo un precedente rapporto, i dati disponibili coincidono con quelli del terremoto di magnitudo 7,8 sulla scala Richter che si è verificato nel Sichuan (Cina), il 12 maggio 2008, provocato ugualmente dalle onde elettromagnetiche di HAARP.

Sono state osservate delle correlazioni tra l'attività sismica e la ionosfera di HAARP:

1. I terremoti in cui la profondità è linearmente identica nella stessa faglia, sono provocati da una proiezione lineare di frequenze indotte.

2. Dei satelliti coordinati fra loro consentono di generare delle proiezioni, concentrate, di frequenze in punti specifici (detti Seahorse).

3. Un diagramma mostra che i terremoti considerati artificiali si propagano linearmente alla stessa profondità:
Località
Data
Profondità

Venezuela
08 gennaio 2010
10 km

Honduras
11 gennaio 2010
10 km

Haiti
12 gennaio 2010
10 km

Anche le repliche sono sono state osservate a circa 10 km di profondità.

Dopo il terremoto, il Pentagono ha annunciato che la nave ospedale USNS Comfort, ancorata a Baltimora, ha ordinato al suo equipaggio l'imbarco e ha fatto rotta verso Haiti, anche se ci vogliono alcuni giorni per raggiungere la meta.
L'ammiraglio Mike Mullen, capo di stato maggiore, ha detto che le Forze Armate degli Stati Uniti stava preparando un'emergenza per questa calamità.

Il generale Douglas Fraser, comandante in capo del SouthCom, ha dichiarato che alcune navi della Guardia Costiera e della Navy sono stati inviate sul posto, nonostante avessero del materiale e degli elicotteri in numero limitato.
La portaerei USS Carl Vinson è partita da Norfolk (Virginia), con una dotazione completa di aerei ed elicotteri. E 'arrivata ad Haiti il pomeriggio del 14 gennaio, ha detto Fraser. Ulteriori gruppi di elicotteri si aggiungeranno al Carl Vinson, ha continuato.

L'Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), era già sul posto ad Haiti prima del terremoto.

Il presidente Obama è stato informato del terremoto alle 17 e 52 del 12 gennaio, e ha ordinato l'invio dei soccorsi per il personale della sua ambasciata e gli aiuti necessari alla popolazione.

Secondo il rapporto russo, il Dipartimento di Stato, l'USAID e il SouthCom hanno iniziato l'invasione umanitaria impiegando 10 000 soldati e mercenari, al posto dell'ONU, per il controllo del territorio di Haiti dopo il "devastante terremoto sperimentale".

Note:

[1] "Les armes sismiques" (le armi sismiche) di Jean-Pierre Petit. Traduzione: "The quake machine". L'arma sismica.

[2] Ufficialmente le force US erano in postazione intorno Haiti per una esercitazione militare che simulava ... un intervento umanitario in Haiti. « Defense launches online system to coordinate Haiti relief efforts », di Bob Brewin, Govexec.com, 15 jgennaio 2010.

[3] "Le Programme HAARP : science ou désastre ?" (Il programma HAARP: scienza o disastro?) di Luc Mampaey, Gruppo di ricerca e d'informazione sulla pace e la sicurezza (Bruxelles, 1998).

Fonte: www.voltairenet.org

Haiti e l'arma sismica

roma.indymedia.org

Pretendiamo rispetto

15 giugno 2010
L'ultimo attacco di Berlusconi contro i magistrati ha lo scopo di distogliere l'attenzione dalla legge sulle intercettazioni, dalla crisi economica e dai veri problemi che angosciano il Paese

di Gian Carlo Caselli

Ennesimo attacco del premier contro i giudici, che sarebbero “politicizzati” e avrebbero l’obiettivo di rovesciare per via giudiziaria il risultato elettorale. Tesi non priva di un che di grottesco. Liquidata dalla “Jena”, sul quotidiano La Stampa, osservando che dopo 16 anni di tentativi inutili i giudici andrebbero licenziati per manifesta incapacità… Ma l’ironia non basta. La ripetizione ossessiva di una tesi, anche bislacca, con martellanti campagne spesso prive di contraddittorio, finisce per diffondere e consolidare un pregiudizio pericoloso per la democrazia. Perché in democrazia la fiducia dei cittadini nella giustizia non è un optional, ma un elemento strutturale: se viene meno, si affaccia il rischio di derive illiberali e disgreganti. I tentativi del premier di circoscrivere i suoi attacchi ad una parte della magistratura non sono credibili perché smentiti dalle vicende degli ultimi anni. L’attacco si è rivelato a geometria variabile, nel senso che è di assoluta evidenza come siano stati costretti a subirlo tutti i magistrati (proprio tutti: pm e giudici, fino alle Sezioni Unite della Cassazione e addirittura alla Corte costituzionale) che adempiendo i loro doveri, in qualunque città o ufficio, abbiano avuto la sventura di imbattersi in interessi che pretendono di sottrarsi ai controlli istituzionali previsti per tutti gli altri.

Ma l’obiettivo di una propaganda tanto infondata quanto insistita è anche distogliere l’attenzione rispetto ai veri problemi che angosciano il Paese. Riproporre il vecchio ma sempre verde ritornello della magistratura politicizzata significa parlare meno della crisi economica; della manovra finanziaria; delle pensioni; del lavoro che non c’è o se c’è è sempre più spesso nero, precario, insicuro. Significa provare ad offuscare la realtà incontestabile di una legge sulle intercettazioni che stritola in una tenaglia micidiale informazione, investigazione e sicurezza dei cittadini, picconando in un colpo solo alcune pietre angolari della democrazia. Significa continuare ad ignorare la catastrofe annunziata del sistema giustizia, per tirare invece la volata a riforme che invece di migliorare anche solo un poco l’efficienza del sistema taglieranno ancora di più le unghie agli inquirenti.

Dunque, evocare complotti giudiziari, disegni politici realizzati mediante l’azione penale, persecuzioni per motivi di parte può essere utile perché sempre meno si ragioni sui fatti. Ma questi metodi e questa cultura rischiano di uccidere la verità e la giustizia, rendendo un pessimo servizio al Paese. L’Associazione nazionale magistrati, facendo il suo mestiere, prova ad arginare questa strumentale ondata di propaganda basata sul nulla, ma gli spazi che riesce a ritagliarsi sono sempre più esigui. Il Consiglio superiore della magistratura ha sempre fatto di tutto per difendere l’autonomia e l’indipendenza dei giudici contro gli attacchi di certa politica, ma non possiede radio o televisioni che diffondano ovunque il suo “verbo”. Anzi, dovrà presto pagare il rifiuto sempre opposto alle richieste di maggior “docilità” subendo una trasformazione (due Csm separati per separare le carriere, in vista della agognata – anche se a parole negata – sottoposizione del pm al governo), trasformazione che non è prevista dalla Costituzione, ma tanto si sa che la Costituzione è vista da qualcuno come una pratica da archiviare, non come una Carta di valori irrinunciabili, una spinta al continuo miglioramento del tasso di democrazia del sistema, che nello stesso tempo funziona da argine ai tentativi di arretramento. Il ministro Guardasigilli, il presidente della Camera e il presidente del Senato potrebbero, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, intervenire in qualche modo per recuperare un clima di rispetto verso l’ordine giudiziario. Non mi sembra che abbiano molta voglia di farlo. E allora, non resta che sperare in qualcun altro. Che però è troppo in alto perché possa arrivargli la voce sommessa di uno dei tanti servitori dello Stato stanchi di essere vilipesi “a gratis”.

da Il Fatto Quotidiano del 15 giugno 2010

lunedì 14 giugno 2010

10 giugno 2010 - Niente più dogane tra Turchia, Siria, Giordania e Libano

E’ il primo passo per la creazione di una zona di libero scambio tra Turchia, Siria, Giordania e Libano. Quasi una mini-Unione europea del Medio Oriente. Giovedì le autorità turche hanno firmato un accordo per la creazione di un consiglio di cooperazione con i Paesi arabi vicini. L’obiettivo? Abbattere al più presto dogane e barriere

Il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha tenuto a sottolineare che la nuova (e per ora ipotetica) zona di libero scambio non dovrà essere percepita come un’alternativa all’Unione europea.

Sarà. Però a me questa sembra l’ennesima conferma del fatto che la Turchia - un po’ perché delusa dal mancato ingresso nell’Unione europea, ma anche a causa di un’evoluzione politica e culturale interna - sta guardando sempre meno all’Europa e si sta avvicinando sempre di più al mondo arabo.

Ma che fine sta facendo la Turchia? Che cosa sta accadendo a questa nazione, che negli ultimi anni si è saputa affermare come potenza economica, militare e diplomatica, ma che sta anche rinunciando al suo ruolo storico di mediatrice tra Oriente e Occidente? Quel che penso, lo ho scritto poco tempo fa qui.

Intanto vi segnalo che su questo tema è uscito anche un articolo molto interessante sull’Economist: “La Turchia sta ripensando il proprio posto nel mondo.” Potete leggerlo (in inglese) a questo indirizzo.


Anna Momigliano

http://blog.panorama.it/mondo/2010/06/10/niente-piu-dogane-tra-turchia-siria-giordania-e-libano/

domenica 13 giugno 2010

Israel’s Greatest Loss: Its Moral Imagination - Haaretz

Israel’s Greatest Loss: Its Moral Imagination

If a people who so recently experienced such unspeakable inhumanities cannot understand the injustice and suffering its territorial ambitions are inflicting, what hope is there for the rest of us?

By Henry Siegman

June 11, 2010


Following Israel’s bloody interdiction of the Gaza Flotilla, I called a life-long friend in Israel to inquire about the mood of the country. My friend, an intellectual and a kind and generous man, has nevertheless long sided with Israeli hardliners. Still, I was entirely unprepared for his response. He told me—in a voice trembling with emotion—that the world’s outpouring of condemnation of Israel is reminiscent of the dark period of the Hitler era.

He told me most everyone in Israel felt that way, with the exception of Meretz, a small Israeli pro-peace party. “But for all practical purposes,” he said, “they are Arabs.”

Like me, my friend personally experienced those dark Hitler years, having lived under Nazi occupation, as did so many of Israel’s Jewish citizens. I was therefore stunned by the analogy. He went on to say that the so-called human rights activists on the Turkish ship were in fact terrorists and thugs paid to assault Israeli authorities to provoke an incident that would discredit the Jewish state. The evidence for this, he said, is that many of these activists were found by Israeli authorities to have on them ten thousand dollars, “exactly the same amount!” he exclaimed.

When I managed to get over the shock of that exchange, it struck me that the invocation of the Hitler era was actually a frighteningly apt and searing analogy, although not the one my friend intended. A million and a half civilians have been forced to live in an open-air prison in inhuman conditions for over three years now, but unlike the Hitler years, they are not Jews but Palestinians. Their jailers, incredibly, are survivors of the Holocaust, or their descendants. Of course, the inmates of Gaza are not destined for gas chambers, as the Jews were, but they have been reduced to a debased and hopeless existence.

Fully 80% of Gaza’s population lives on the edge of malnutrition, depending on international charities for their daily nourishment. According to the UN and World Health authorities, Gaza’s children suffer from dramatically increased morbidity that will affect and shorten the lives of many of them. This obscenity is a consequence of a deliberate and carefully calculated Israeli policy aimed at de-developing Gaza by destroying not only its economy but its physical and social infrastructure while sealing it hermitically from the outside world.

Particularly appalling is that this policy has been the source of amusement for some Israeli leaders, who according to Israeli press reports have jokingly described it as “putting Palestinians on a diet.” That, too, is reminiscent of the Hitler years, when Jewish suffering amused the Nazis.

Another feature of that dark era were absurd conspiracies attributed to the Jews by otherwise intelligent and cultured Germans. Sadly, even smart Jews are not immune to that disease. Is it really conceivable that Turkish activists who were supposedly paid ten thousand dollars each would bring that money with them on board the ship knowing they would be taken into custody by Israeli authorities?

That intelligent and moral people, whether German or Israeli, can convince themselves of such absurdities (a disease that also afflicts much of the Arab world) is the enigma that goes to the heart of the mystery of how even the most civilized societies can so quickly shed their most cherished values and regress to the most primitive impulses toward the Other, without even being aware they have done so. It must surely have something to do with a deliberate repression of the moral imagination that enables people to identify with the Other’s plight. Pirkey Avot, a collection of ethical admonitions that is part of the Talmud, urges: “Do not judge your fellow man until you are able to imagine standing in his place.”

Of course, even the most objectionable Israeli policies do not begin to compare with Hitler’s Germany. But the essential moral issues are the same. How would Jews have reacted to their tormentors had they been consigned to the kind of existence Israel has imposed on Gaza’s population? Would they not have seen human rights activists prepared to risk their lives to call their plight to the world’s attention as heroic, even if they had beaten up commandos trying to prevent their effort? Did Jews admire British commandos who boarded and diverted ships carrying illegal Jewish immigrants to Palestine in the aftermath of World War II, as most Israelis now admire Israel’s naval commandos?

Who would have believed that an Israeli government and its Jewish citizens would seek to demonize and shut down Israeli human rights organizations for their lack of “patriotism,” and dismiss fellow Jews who criticized the assault on the Gaza Flotilla as “Arabs,” pregnant with all the hateful connotations that word has acquired in Israel, not unlike Germans who branded fellow citizens who spoke up for Jews as “Juden”? The German White Rose activists, mostly students from the University of Munich, who dared to condemn the German persecution of the Jews (well before the concentration camp exterminations began) were also considered “traitors” by their fellow Germans, who did not mourn the beheading of these activists by the Gestapo.

So, yes, there is reason for Israelis, and for Jews generally, to think long and hard about the dark Hitler era at this particular time. For the significance of the Gaza Flotilla incident lies not in the questions raised about violations of international law on the high seas, or even about “who assaulted who” first on the Turkish ship, the Mavi Marmara, but in the larger questions raised about our common human condition by Israel’s occupation policies and its devastation of Gaza’s civilian population.

If a people who so recently experienced on its own flesh such unspeakable inhumanities cannot muster the moral imagination to understand the injustice and suffering its territorial ambitions—and even its legitimate security concerns—are inflicting on another people, what hope is there for the rest of us?

Henry Siegman, director of the U.S./Middle East Project, is a visiting research professor at the Sir Joseph Hotung Middle East Program, School of Oriental and African Studies, University of London. He is a former Senior Fellow on the Middle East at the Council on Foreign Relations and, before that, was national director of the American Jewish Congress from 1978 to 1994.

from: Haaretz


La perdita piu' grande di Israele: il suo immaginario morale

Se un popolo che cosi' di recente ha sperimentato un'inumanita' cosi' inenarraibile non puo' capire l'ingiustizia e la sofferenza che stanno infliggendo le sue ambizioni territoriali, quale speranza c'è per tutti noi altri?

di Henry Siegman

11 giugno 2010


Dopo la sanguinaria interdizione Israeliana alla Gaza Flotilla, ho chiamato un amico di vecchia data in Israele per chiedergli dello stato d'animo nel paese. Il mio amico, un intellettuale e uomo gentile e generoso, è stato tuttavia per lungo tempo dalla parte degli integralisti Israeliani. Allora, ero totalmente imprepaato alla sia risposta. Mi ha detto —con una voce tremante per l'emozione—che lo sfogo mondiale di condanna di Israele è una reminiscenza del periodo buio dei tempi di Hitler.

Mi ha detto che la maggior parte di Israele ha vissuto quel sentimento, con l'eccezione di Meretz, un piccolo partito Israeliano pacifista. “Ma a tutti gli effetti pratici ,” ha detto, “essi sono Arabi.”


Come me, il mio amico ha sperimentato di persona quegli anni oscuri di Hitler, essendo vissuto sotto l'occupazione Nazista, come molti dei cirtadini Ebrei di Israele. Percio' sono rimasto sbalordito dall'analogia. Ha proseguito dicendo che i cosiddetti attivisti dei diritti umani sulla nave Turca erano in effetti terroristi e malviventi pagati per attaccare le autorita' Israeliane per provocare un incidente che screditerebbe lo stato Ebraico. La prova di questo, ha detto, è che molti di questi attivisti sono stati scoperti dalle autorita' con addosso diecimila dollari, “proprio la stessa somma” ha esclamato.


Quando ho incominciato ad andare oltre lo shock di questo cambiamento, mi ha colpito che l'evocazione del periodo di Hitler fosse attualmente un'analogia spaventosamente intelligente e bruciante, per quanto non nello stesso senso che il mio amico intendeva. Un millione e mezzo di civili sono stati costretti a vivere in una prigione all aria aperta in condizioni disumane per piu' di tre anni attualmente, ma a differenza dei tempi di Hitler, non sono Ebrei ma Palestinesi. I loro carcerieri, incredibilmente, sono sopravvissuti dell'Olocausto, o loro discendenti. Naturalmente, i reclusi di Gaza non sono destinati alle camere a gas, come lo erano gli Ebrei, ma sono stati ridotti a una esistenza degradata e senza speranza.


Non meno dell'80% della popolazione di Gaza vive sulla soglia della malnutrizione, dipendendo dagli aiuti internazionali per la sua alimentazione quoridiana. Secordo l'ONU e le autorita' Sanitarie Mondiali, i bambini di Gaza soffrono di stati patologici drammaticamente aumentati che colpiranno e ridurranno la vita di molti di loro. Questa oscenita' è una conseguenza di una politica Israeliana deliberata e attentamente calcolata mirante a impedire lo sviluppo a Gaza distruggendo non soltanto la sua economia ma la sua infrastruttura fisica e sociale mentre la sigilla ermeticamente dal resto del mondo.


Particolarmente raccapricciante è che questa politica sia stata la fonte di divertimento per alcuni dirigenti Israeliani, che secondo le notizie della stampa Israeliana hanno scherzosamente descritto come “mettere a dieta.i Palestinesi”. Anche questo è reminiscenza degli anni di Hitler, quando la sofferenza degli Ebrei divertiva i Nazisti.


Un'altra caratteristica di quel tempo buio sono state le assurde cospirazioni attribuite agli Ebrei da Tedeschi altrimenti intelligenti e colti. Tristemente, anche Ebrei in gamba non sono immuni da queste patologie. E' davvero concepibile che attivisti Turchi che si suppone siano stati pagati diecimila dollari a testa portassero con sé quel denaro a bordo della nave sapendo che sarebbeto stati presi in custodia dalle autorita' Israeliane?


Che persone intelligenti e dotate di senso morale, siano Tedesche o Israeliane, possano convincersi di simili assurditia' (un genere di patologia che affligge anche gran parte del mondo Arabo) è l'enigma che va al cuore del mistero di come anche le societa' piu' civilizzate possano cosi' rapidamente perdere i valori che dovrebbero avere piu' a cuore e regredire agli impulsi piu' primitivi verso l'Altro, senza neppure essere consapevoli che lo hanno fatto. Cio' deve sicuramente avere qualcosa a che fare con una deliberata repressione dell'immaginario morale che mette le persone in grado di mettersi nei panni dell'Altro. Pirkey Avot, una raccolta di moniti etici che fa parte del Talmud, indica: “Non giudicare il tuo simile fino a quando non sarai capace di immaginare di stare al suo posto.”


Naturalmente, perfino le politiche Israeliane piu' ripugnanti non sono neppure lontanamente paragonabili con quelle della Germania di Hitler. Ma le questioni morali essenziali sono le stesse. Come avrebbero reagito gli Ebrei nel confronti dei loro torrturatori se fossero stati relegati a quel genere di esistenza che Israele ha imposto alla popolazione di Gaza? Non avrebbero visto gli attivisti per i diritti umani preparati a rischiare la vita per far venire la loro situazione all'attenzione del mondo come eroi, anche se essi avessero picchiato selvaggiamente i commandos che cercavano di impedire il loro tentativo? Gli Ebrei ammiravano i commandos Britannici che abbordavano e dirottavano navi che trasportavano emigranti Ebrei illegali in Palestina subito dopo la fine della II Guerra Mondiale, come la maggioranza degli Israeliani adesso ammira i commandos navali d'Israele?


Chi avrebbe creduto che un governo Israeliano e i suoi cittadini Ebrei avessero cercato di demonizzare e chiudere organizzazioni Israeliane per i diritti umani per la loro mancanza di “patriottismo”, e scacciare i loro simili Ebrei che hanno criticiato l'assalto alla Gaza Flotilla come “Arabi,” carico di tutte le odiose connotazioni che la parola ha acquisito in Israele, non dlifferenti da quelle che i Tedeschi che stigmatizzavano i loro concittadini che chiamavano gli Ebrei “Juden” (“Giudei”, ndt)? Gli attivisti Tedeschi della Rosa Bianca, soprattutto studenti dell'Universita' di Monaco, che osavano condannare la persecuzione Terdesca degli Ebrei (ben prima che incominciassero gli stermini nei campi di concentramento Tedeschi) venivano considerati anche “traditori” dai loro concittadini Tedeschi, che non hanno portato il lutto per la decapitazione di questi attivisti da parte della Gestapo.


E cosi', certo, c'è motivo per gli Israeliani, e per gli Ebrei in genere, di pensare a lungo e duramente al periodo buio di Hitler in questo momento particolare. Perché il significato della incidente alla Gaza Flotilla non si trova negli interrogativi suscitati sulle violazioni del diritto internazionale in alto mare, o addirittura su “chi ha assalito chi” prima sulla nave Turca, la Mavi Marmara, ma nelle piu' ampie domande sollevate sulla nostra condizione umana comune dalle politiche di occupazione di Israele e la sua devastazione della popolazione civile di Gaza.

Se un popolo che cosi' di recente ha provato sulla sua stessa carne disumanita' cosi' inenarrabili non puo' fare appello al suo immaginario per comprendere l'ingiustizia e la sofferenza che le sue ambizioni territoriali—e perfino le sue legittime preoccupazioni—stanno infliggendo a un altra popolazione, quale speranza c'é per tutti noi altri?


Henry Siegman, direttore dell'U.S./Middle East Project (Progetto USA/Medioriente, ndt), è professore visitatore per ricerche nel Sir Joseph Hotung Middle East Program , School of Oriental and African Studies, University of London (Programma per il Medioriente Sir Joseph Hotung, Scuola di Studi Orientali e Africani, Universita' di Londra, ndt). E' un ex Senior Fellow (Membro Anziano, ndt) sul Medioriente al Council on Foreign Relations (Consiglio per le Relazioni Internazionali, ndt) e, ancor prima, è stato direttore nazionale dell'American Jewish Congress (Congresso Ebreo Americano, ndt) dal 1978 al 1994.


giovedì 3 giugno 2010

Moni Ovadia: “Questa classe politica stupida, reazionaria e feroce porterà Israele alla catastrofe”

Dopo l'assalto alla Freedom Flotilla

Moni Ovadia: “Questa classe politica stupida, reazionaria e feroce porterà Israele alla catastrofe” (AUDIO)

Moni Ovadia: "Quando si trasforma un'identità spirituale ed etica in un'identità nazional religiosa, anche se non si è fascisti se ne assumono i comportamenti. E' il destino di chi diventa nazionalista, non riconosce più l'umanità dell'altro e perde la propria anima".



da MicroMega (1 giugno 2010)

mercoledì 2 giugno 2010

Bruno Amoroso - Crisi economica o truffa finanziaria?



Docente di Economia Internazionale e delle sviluppo presso l'università Roskilde in Danimarca, coordina programmi di ricerca e cooperazione con i paesi dell'Asia e del Mediterraneo e presiede il Centro Studi Federico Caffè. Autore di Della Globalizzazione, edizioni La Meridiana, 1996.