martedì 29 marzo 2011

Contro-manifestazione lealista alla Moschea Omayyade

Su Facebook il gruppo Syrian Revolution, che ormai raccoglie più di 80mila adesioni, ha lanciato per il 25 marzo una nuova giornata di mobilitazione per dare un'ulteriore spallata al regime di Damasco, ma i lealisti intervengono a sabotare la protesta


Damasco, venerdì 25 marzo 2011 – E' mezzogiorno e un quarto quando infilo l'ingresso del suq al-Hamidiyeh, affascinante mercato coperto che porta diritto alla Moschea Omayyade nel centro della Vecchia Damasco. Mi si para di fronte uno sciame di persone che passeggiano distrattamente, che mi vengono incontro, che mi offrono un po' di tutto. E' venerdì e la preghiera dovrebbe finire a momenti. Ho saputo che ci sarebbero dovute essere alcune dimostrazioni contro il regime proprio nella zona della moschea, ma per ora non si vede nulla. Continuo a camminare rapidamente nel suq. A qualche decina di metri dalla moschea inizio a sentire in lontananza i primi cori che diventano sempre più nitidi. Ecco ci sono! Aumento il passo. Una volta giunto alla piazza antistante l'ingresso principale della moschea rimango sorpreso. Non trovo ciò che mi aspettavo. I manifestanti sono pochi, qualche decina. Mostrano ritratti del presidente, sventolano bandiere siriane e cantano slogan pro-regime. Somiglia tanto ad uno di quei piccoli cortei a sostegno del presidente che avevo visto passare nei giorni precedenti in vari punti della città. Caroselli composti da 4/5 macchine clacsonanti rimpinzate di bandiere siriane, i cui finestrini erano rivestiti per intero da adesivi con l'effige di Bashar al-Assad (come molti taxi).

Guardando il portone della Moschea Omayyade sulla sinistra un gruppo di persone inneggia al presidente, sulla destra un furgoncino è decorato da uno striscione pro-regime. I manifestanti cantano “Allah! Surya! Bashar w bas!” (Dio! Siria! Bashar e basta!). Insomma tutto sembra poter essere ricondotto ad una manifestazione di lealisti. Scatto qualche foto, un signore mi ferma e mi chiede "sei un giornalista?", "no, sono un turista" rispondo amabilmente. Giro l'angolo e me ne vado verso il Palazzo Azem. Improvvisamente dall'interno della moschea sento provenire un boato, poi subito un altro. Torno rapidamente sui miei passi. La folla radunata nella piazza davanti alla moschea ora è raddoppiata ed è molto meno tranquilla. Preme per entrare nella moschea, dall'interno della quale continuano a provenire boati, segnali evidenti che dentro qualcosa sta succedendo. Qua e la tra la folla ondeggiante si sviluppano focolai di rissa, ma è difficile individuare le fazioni che si affrontano. Apparentemente non ci sono forze dell'ordine. La tensione è alta e c'è grande confusione. La preghiera è finita. La folla riesce ad irrompere nella moschea dove si scontra con il flusso di persone che stanno uscendo proprio dalla sala della preghiera. Si verificano nuovi scontri, ma continua ad essere difficile identificare le parti che si contrappongono. Gruppi di persone si coagulano intorno a singoli e cominciano a colpirli con pugni e calci, mentre un corteo di poche decine di persone fa il giro della piazza interna alla moschea per poi tornare all'ingresso principale dove comincia a fare pressione per uscire. La tensione continua a salire, si verificano nuovi scontri a ridosso del grande portone della moschea, questa volta all'interno. I fedeli (tra cui molte donne) si schiacciano sul lato opposto e osservano attoniti l'evolversi degli eventi. Nessuno ovviamente si prende la briga di togliersi le scarpe anche se ci si trova in un luogo sacro. E' il caos! Il corteo riesce ad uscire ed è allora che gli addetti della moschea riescono a chiudere il portone e a riportare la calma all'interno.

All'esterno ancora scontri e la polizia in borghese rivela la sua presenza entrando in azione effettuando alcuni arresti ed alcune azioni di forza con lo scopo di riportare ordine. Un ragazzo viene strattonato dalla folla e costretto con la forza ad entrare in una macchina parcheggiata all'esterno della moschea. Il corteo lealista continua il percorso all'interno del suq dirigendosi fuori dalla Vecchia Damasco. Sono più o meno le 14.00 quando torna la calma. Rimangono alcune decine di poliziotti in borghese (si distinguono da uno spesso elastico verde che hanno intorno al polso) che controllano i documenti e gli apparecchi fotografici di pochi mal capitati, tra cui alcuni turisti, che si sono attardati a fotografare gli scontri. Non resta altro da fare che dirigersi verso Bakdash (sfiziosa gelateria nel suq al-Hamidiyeh), gustarsi un ottimo gelato con pezzi di pistacchio e riprendere a respirare tranquillamente.

Nella parte moderna di Damasco molti tassisti sono parcheggiati ed intenti ad incollare sui finestrini delle proprie vetture i soliti grandi stickers trasparenti sui quali è raffigurato il volto di Bashar al-Assad. Chiedo ad uno di loro se mi può accompagnare e mi risponde che non lavora, che è impegnato con gli stickers. Nel frattempo caroselli di auto si sono formati un po' ovunque nella città coinvolgendo con il loro clacsonare tutti gli automobilisti. Molte persone viaggiano sporgendosi dai finestrini mostrando foto in cui è ritratto il presidente o sventolando bandiere siriane. Passando davanti ad una serie di piccoli caffè disposti uno dopo l'altro, sento rimbombare lo slogan “Allah! Surya! Bashar w bas!”. E' l'eco proveniente dalle tv accese all'interno che stanno trasmettendo la manifestazione in tempo reale.
C'è un'atmosfera da "Una giornata particolare". Tutta la città sembra avere un'irrefrenabile voglia di dimostrare il proprio sostegno all'amato presidente.

Ghigo Orson Galera

Movimento in crescendo

Il movimento anti-confessionale libanese scende per la terza volta in piazza in meno di un mese e dimostra di avere un seguito in continua crescita



Beirut, 20 marzo 2011 – Il 27 febbraio scorso il movimento aveva emesso il suo primo vagito. Nonostante una pioggia torrenziale 2mila persone avevano risposto all'invito lanciato su Facebook da un gruppo creatosi spontaneamente sull'onda dell'entusiasmo suscitato dalle rivolte tunisine ed egiziane. Il gruppo chiamava i cittadini libanesi, a prescindere dalla confessione di appartenenza, a manifestare contro il regime confessionale-comunitario accusato di approfittare delle divisioni religiose per sostenere una classe politica corrotta e composta da ex criminali di guerra. La domenica successiva, 6 marzo, con una nuova manifestazione anti-settaria che ha attraversato la città di Beirut dal quartiere di Dora (periferia est) all'Elecrticity bldg. (nel quartiere di Mar Mikhael Nahr) il movimento era riuscito a dare una nuova prova di forza. Alla fine della manifestazione secondo le forze dell'ordine avevano partecipato 7mila persone, per gli organizzatori 15mila, ma il dato era chiaro, il movimento era riuscito a convincere molti/e a scendere in piazza per chiedere un cambiamento. Dopo due settimane di pausa (domenica 13 marzo la coalizione 14 marzo ha celebrato il sesto compleanno in Piazza dei Martiri) il movimento che si oppone al regime confessionale-comunitario è tornato in piazza sempre senza insegne di partito, sempre solo armato di bandiera libanese, ma ancora più numeroso ed ancora più convincente. Questa volta a sfilare lungo il percorso che andava da Place Sassine al Ministero degli Interni (di fronte al Sanayeh Garden) ci sono state ben 25mila persone. Lo slogan è stato ancora una volta “Ashab iurid asqat an-nizam at-taifi!” (la gente vuole la caduta del regime comunitario!). Ma non solo, attorno alla richiesta dell'abolizione del regime comunitario-confessionale (che vuol dire abolizione della divisione per comunità delle cariche politiche e delle quote comunitarie in parlamento), se ne sono coagulate molte altre come l'adozione di una legge elettorale proporzionale (in cui il Libano diventi un singolo distretto elettorale), l'introduzione nell'ordinamento dello statuto e del matrimonio civile, la possibilità per le donne di dare la nazionalità ai propri figli e ai propri mariti (qualora questi siano stranieri), ma anche richieste sociali, quali migliori condizioni lavorative, aiuti economici più consistenti da parte dello Stato verso le fasce più povere della popolazione e politiche statali che rendano il diritto alla casa, all'educazione e alla sanità più accessibili per tutti i cittadini libanesi. In segno di buon augurio il passaggio del corteo è stato più volte salutato dal lancio di riso da parte dei curiosi affacciati a finestre e balconi che hanno ricevuto il boato di ringraziamento dei manifestanti entusiasti. Davanti al Ministero degli Interni il corteo era atteso da altri giovani del movimento che proprio lì da diverse settimane hanno sistemato le proprie tende. La manifestazione si è quindi conclusa dopo il rituale inno nazionale libanese cantato da tutti e dopo la lettura delle rivendicazioni da parte di una rappresentante del movimento di fronte alle telecamere del canale televisivo libanese Al-Jadida. Con l'innegabile successo di questa terza giornata di mobilitazione il movimento ha dimostrato che sempre più gente vuole la caduta del regime.

Ghigo Orson Galera

foto di Noura Nasser

domenica 20 marzo 2011

La Seconda Rivoluzione dei Cedri?

La coalizione "14 marzo" per celebrare il sesto anniversario della Rivoluzione dei Cedri (14 marzo 2005), chiama il proprio popolo a radunarsi in massa come sei anni fa in Piazza dei Martiri nel centro di Beirut. Questa volta non per chiedere il ritiro delle forze siriane dal territorio libanese, ma per dire “NO!” alle armi “illegittime” di un avversario interno, Hezbollah.

Beirut, 13 marzo 2011 - Sono appena le prime ore del giorno, quando si cominciano a sentire in lontananza i primi segni della giornata che sarà. Il clima è perfetto, cielo terso e sole primaverile. Dalle 9.00 inizia un crescendo di clacson, di megafoni, di cori e di vociare. Il popolo del 14 marzo ha cominciato ad affluire verso piazza dei Martiri dove tutto è stato attrezzato già dal giorno prima per celebrare il sesto anniversario della Rivoluzione dei Cedri. A partire dalle 11.00 sono previsti, in ordine di importanza, gli interventi di vari leader ed esponenti della coalizione in un climax che avrà il suo culmine col discorso di Saad Hariri, primo ministro fino al 12 gennaio scorso, ora in carica ad interim.

Avvicinandosi alla piazza aumenta la concentrazione delle forze di polizia e dell'esercito che per evitare disordini hanno blindato la piazza con posti di blocco (utilizzando i carri armati) già a qualche centinaio di metri dall'ingresso della stessa. La piazza è tutta transennata e per accedervi bisogna passare per una perquisizione. Non solo, i leader si rivolgeranno alla piazza protetti da una schermatura in vetro antiproiettile che li dividerà dai loro sostenitori. Insomma nulla o quasi è lasciato al caso.
Una volta passati i controlli si apre davanti agli occhi una piazza carica di sole, persone e bandiere. Intorno al milione di presenze, si dirà poi, provenienti da tutto il Libano, ma anche dall'estero, dai paesi della diaspora libanese (Francia, Canada, Gran Bretagna, Stati Uniti, Costa d'Avorio, ecc.).
A prevalere sono le bandiere del Libano, ma non mancano bandiere di partito, quelle azzurre del movimento di Hariri Tayyar al-Mustaqbal (Corrente del Futuro), bandiere falangiste (del partito Kataeb), bandiere delle Forze Libanesi (partito di Samir Geagea) e un po' a sorpresa si intravedono alcune bandiere del Partito Socialista Progressista (partito druso) a testimoniare una seppur piccola, ma significativa fedeltà della comunità drusa alla coalizione. Nei mesi scorsi infatti il leader del partito druso, Walid Jumblat, ha lasciato la coalizione 14 marzo per aggregarsi a quella dell'8 marzo (consegnando a quest'ultima, seppure per pochi deputati, la maggioranza parlamentare). C'è chi dice, maliziosamente, per evitare ritorsioni da parte di Hezbollah e/o della Siria, c'è chi dice per senso di responsabilità nazionale.

A vegliare sulla piazza ci sono le gigantografie dei volti dei Martiri della Rivoluzione dei Cedri: Rafiq Hariri, Samir Kassir, George Hawi, Gebran Tueni, Pierre Amine Gemayel, Walid Eido, Antoine Ghanem. Uomini politici e giornalisti tutti assassinati tra il giugno 2005 ed il settembre 2007.

La parola d'ordine di questa giornata è “NO!” (“LA!” in arabo). “LA!” si legge sulle magliette e sui berretti di numerosi presenti. No alle armi che non siano quelle dell'esercito regolare libanese, no ai ricatti delle milizie armate (chiaro riferimento al partito/milizia sciita Hezbollah), no all'abbandono da parte del prossimo governo dell'intesa stipulata con l'ONU per il Tribunale Speciale per il Libano (TSL), no alla strategia stragista mirata ad eliminare personaggi scomodi della politica e della cultura che ha caratterizzato il recente passato del paese, no all'influenza delle potenze straniere nella vita politica libanese (Iran, Siria, ma anche Israele).

Dopo una serie di interventi da parte dei leader dei partiti minori e di altri esponenti della coalizione, tra cui Elias Atallah, della Sinistra Democratica (partito che ha tra i suoi fondatori uno dei martiri il giornalista Samir Kassir, ucciso nel giugno del 2005), Sebouh Kalbakian del partito della comunità armena Henchak e Dory Chamoun del Partito Liberale Nazionale, è stata la volta dei big.


Ad aprire le danze è Samir Geagea, il “Dottore” (Hakim), come viene chiamato qui, carismatico e controverso leader delle Forze Libanesi, nonché ex warlord condannato all'ergastolo per aver ordinato quattro omicidi politici durante la guerra civile (tra cui quello dell'ex premier Rashid Karami) e in libertà grazie ad un'amnistia votata dal Parlamento appositamente per lui nel luglio 2005.
Un grande boato della folla segue l'annuncio del suo arrivo sul palco, seguito dal coro “HAKIM! HAKIM!” che contagia tutta la piazza.
Geagea scalda i presenti annunciando una Seconda Rivoluzione dei Cedri, questa volta non diretta all'allontanamento di un nemico esterno dal territorio libanese (all'epoca le forze siriane), ma contro un nemico interno armato, Hezbollah, e contro il suo “statelet”, Stato nello Stato.

Anche Amin Gemayel alla testa del partito falangista Kataeb (ex milizia), riafferma i principi della Rivoluzione dei Cedri. Secondo l'ex Presidente della Repubblica, Hezbollah ha dimenticato la sua funzione anti-israeliana, ha dimenticato le varie questioni territoriali causa di controversie tra i due paesi confinanti e ha rivolto verso l'interno il suo potenziale militare servendosene nella discussione politica come leva di ricatto costante. Il suo solo obiettivo, secondo Gemayel, è l'annullamento dell'intesa stipulata dal Libano con l'ONU sul TSL (che si suppone stia per accusare alcuni esponenti di primo piano del partito sciita), ma “noi vogliamo che il TSL faccia luce sulla verità”. Insiste ancora l'ex presidente affermando che “l'unità e la stabilità del paese non potranno mai essere realizzate senza che le armi illegittime vengano rimosse”. Solo così è possibile “salvare il Libano e costruire lo Stato”.

Nell'attesa del leader della coalizione, Saad Hariri, vengono srotolati lungo i due lati dell'edificio del Virgin Megastore, alle spalle del palco, due enormi teli. Da un lato la bandiera libanese, dall'altro una gigantografia del sovrano saudita Abd Allah bin Abd al-Aziz Al Saud a ribadire, se ce ne fosse bisogno, chi c'è dietro alla famiglia Hariri e al sostegno alla comunità sunnita libanese.

La musica annuncia l'imminente arrivo di Saad Hariri e partono i cori “Saad! Saad!” sulla scia dei quali fa il suo ingresso trionfale il quarantenne figlio dell'ex premier Rafiq Hariri (ucciso sei anni fa in un attentato e sul cui assassinio sta investigando il già citato Tribunale Speciale per il Libano). La piazza si scalda per la presenza sul palco del suo leader e per il sole già pienamente primaverile nonostante sia appena metà marzo. Hariri con un gesto che si addice più ad una rockstar che ha un capo di partito si toglie la giacca e si rimbocca le maniche, la folla apprezza ed esulta. Faticando a sovrastare con la sua voce gli incitamenti della folla comincia il suo discorso. E' “impossibile che le armi sconfiggano un popolo che chiede verità, giustizia e democrazia”. “Noi non rinunceremo alla nostra libertà, alla democrazia e alla Costituzione” e aggiunge che tutte le armi fuori dal controllo dello Stato devono essere consegnate all'esercito, questo “Non è impossibile!”. “Ciò che vogliamo è che sia l'esercito libanese a difenderci da Israele” e non Hezbollah. Al contrario, insiste Hariri, “impossibile è che qualcuno mantenga la propria poltrona per venti anni”, facendo riferimento a Nabih Berri leader di Amal (movimento sciita che fa parte della coalizione 8 marzo) da venti anni Presidente della Camera. “Accettate armi che siano fuori dal controllo dello Stato? Accettate un governo che cerchi di eliminare il TSL?” Saad Hariri incalza la piazza che euforica ad ogni domanda risponde all'unisono con un secco “NO!”. E ancora “Accettate che il Libano sia in mani straniere?” (alludendo all'Iran e alla Siria). “Avete sentito loro (8 marzo) dire ancora una volta che (ottenere ciò che rivendichiamo) è impossibile. Ma questo non funzionerà perché già sei anni fa, quando Rafik Hariri fu martirizzato e ci siamo riuniti in questa piazza, sapevamo che nulla è impossibile" ribadisce Hariri.

Terminato il discorso il leader sunnita saluta il suo popolo e lo invita a seguire il corteo di auto (dei SUV blindatissimi) con cui si allontanerà dalla piazza, per un ultimo bagno di folla. La piazza risponde accerchiando il corteo di vetture parcheggiate dietro al palco per salutare il proprio beniamino. Poi tutti tornano a casa, chi a piedi, chi in macchina, chi a bordo di un autobus sgangherato; stanchi, ma soddisfatti per le parole di fermezza che hanno sentito pronunciare dai propri leader.

L'unico “incidente” della giornata viene registrato in serata nella regione della Bekaa dove alcuni giovani hanno bloccato le strade dando fuoco ad alcuni pneumatici per ostacolare il rientro di coloro che tornavano da Beirut. Una piccola provocazione che non ha macchiato una giornata sostanzialmente di festa.

Ghigo Orson Galera

Libano: rischio guerra civile?

Con l'approssimarsi della pubblicazione dell'atto d'accusa del Tribunale Speciale per il Libano (TSL) ed il protrarsi della crisi politica, si moltiplicano le espressioni di preoccupazione per la situazione libanese da parte di capi di stato e di governo, dei media nazionali ed internazionali e dei comuni cittadini.
Nei “Service” (taxi libanesi), nei caffè, tra amici, la domanda che domina le discussioni è se questa crisi porterà ad uno scontro tra comunità (o addirittura ad una nuova guerra civile) oppure se al contrario si risolverà attraverso una pacifica mediazione politica.

Ma quali sono le ragioni di tale crisi politica? Cos'è il Tribunale Speciale per il Libano (TSL) ? Chi trarrebbe vantaggio da una degenerazione militare della crisi politica? C'è davvero da preoccuparsi per una guerra civile?

Le ragioni della crisi, riassunto delle puntate precedenti
La crisi politica libanese dipana lentamente la sua matassa, anche se il nodo che deve venire al pettine è ancora lontano dall'essere sciolto. Il nodo si chiama TSL, il pomo della discordia al centro del dibattito politico libanese ormai da più di un anno e mezzo, cioè da quando è trapelata la notizia (pubblicata nel maggio del 2009 dal quotidiano tedesco Der Spiegel e ripresa da un reportage della CBC canadese nel novembre 2010), che nell'atto d'accusa del procuratore canadese Bellemare (incaricato di investigare sull'attentato in cui ha trovato la morte l'ex premier Rafiq Hariri insieme ad altre 22 persone il 14 febbraio 2005) sarebbero presenti i nomi di alcuni esponenti di primo piano del partito/milizia sciita Hezbollah (letteralmente “Partito di Dio”). Da luglio scorso è iniziato un braccio di ferro tra le due coalizioni 14 marzo (Saad Hariri) e 8 marzo (Hezbollah) sul TSL, con relativa crisi politica che ha bloccato l'attività del governo Hariri (Saad, figlio di Rafiq) e che si è concluso con lo scioglimento dello stesso il 12 gennaio scorso a seguito delle dimissioni di 11 ministri, 10 della coalizione 8 marzo (Hezbollah, Amal, e il Movimento Patriottico Libero di Michel Aoun) e di uno tra i cinque nominati dal presidente Sleiman (la Costituzione libanese prevede lo scioglimento automatico del governo nel caso in cui più di 1/3 dei ministri si dimettano, in questo caso 11 su 30). Parallelamente, una fantomatica quanto apparentemente inefficace trattativa è stata condotta a livello internazionale tra Siria ed Arabia Saudita per mediare tra le parti ed evitare il peggio (nuovi scontri inter-comunitari come accaduto nel maggio 2008). Altre polemiche hanno accompagnato le consultazioni che hanno portato alla formazione della nuova maggioranza parlamentare, questa volta pro-8 marzo, e la designazione del nuovo primo ministro il sunnita Najib Miqati (imprenditore, uomo tra i più ricchi del paese).
Il primo ministro uscente, Saad Hariri (14 marzo), da un lato, ha accusato Miqati di tradimento perché eletto deputato nel 2009 tra le fila della sua stessa coalizione e perché troppo accondiscendente verso le richieste di Hezbollah relative all'abbandono da parte del governo dell'intesa sul TSL stipulata con l'ONU. Dall'altro, accusa l'8 marzo di essere responsabile di un colpo di stato consumatosi con la caduta del governo e la rottura di fatto dell'accordo di Doha del 2008. Miqati risponde dichiarando che il suo non sarà un governo di parte, ma “consensuale” (cioè rappresentativo di tutte le componenti comunitarie), inoltre lascia aperta la prospettiva di un governo tecnico visto che il 14 marzo ha già avvertito che non parteciperà al prossimo governo. L'8 marzo afferma invece di aver agito nell'ambito democratico delle facoltà che gli sono consentite dalla Costituzione in quanto opposizione e rinvia al mittente le accuse di colpo di stato. Negli ultimi giorni la coalizione di Hariri ha lasciato intendere di voler aprire margini di dialogo per la formazione del nuovo governo, tant'è che Amin Gemayel (cristiano maronita), leader del partito falangista (Kataeb, coalizione 14 marzo) ha dichiarato di “Voler dare una chance al governo Miqati” anche se, ha ribadito, che in ogni caso si adeguerà alla decisione presa all'interno della coalizione. Nel frattempo è cominciata la spartizione dei ministeri ancora tutta da definire. In pole position, con le loro richieste e pressioni, ci sono Michel Aoun per il Ministero degli Interni (leader del Movimento Patriottico Libero, cristiano) e Nabih Berri (Presidente della Camera e leader di Amal, sciita) entrambi della coalizione 8 marzo.

Cos'è il Tribunale Speciale per il Libano ?
Il TSL è un organismo delle Nazioni Unite creato ad hoc, su richiesta del governo libanese, per investigare sull'attentato dinamitardo in cui il 14 febbraio del 2005 ha trovato la morte l'ex-premier libanese Rafiq Hariri insieme ad altre 22 persone. Inoltre la giurisdizione del tribunale può essere estesa agli attentati avvenuti in Libano tra il 1 ottobre 2004 ed il 12 dicembre 2005.

Il TSL presenta alcuni punti non chiari che interessano principalmente tre aspetti: la sua legalità internazionale, la sua costituzionalità interna e l'autenticità degli intenti di coloro che ne hanno promosso la creazione.

I dubbi sulla legalità internazionale del TSL concernono la competenza di un tribunale internazionale a giudicare di un crimine che dovrebbe essere materia di giurisdizione interna di uno Stato sovrano. Il TSL rappresenta un'eccezione rispetto ai tribunali internazionali istituiti nel passato proprio nel suo mandato. Per il diritto internazionale, la competenza di tali tribunali riguarda i cosiddetti crimina iuris gentium come il genocidio, i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione. L'attentato a Rafiq Hariri non appartiene a nessuna di queste categorie.

Per quanto concerne la legalità interna, i dubbi riguardano il rispetto della Costituzione libanese che prevede all'art. 52 che i trattati internazionali siano negoziati dal Presidente della Repubblica in accordo col Primo Ministro e che vengano ratificati dal Consiglio dei Ministri e dal Parlamento.
Innanzitutto, l'accordo col quale è stato istituito il TSL non è stato ratificato dal Parlamento per l'opposizione del Presidente della Camera Nabih Berri che si è rifiutato di convocare la seduta. Il primo ministro dell'epoca Fouad Siniora ha dunque semplicemente inviato una lettera al Segretario Generale dell'ONU nella quale affermava che, nonostante la mancata votazione, era stato informato che la maggioranza dei parlamentari si era dichiarata favorevole all'istituzione del tribunale e dunque sollecitava una rapida adozione delle azioni necessarie alla sua creazione.
Inoltre tale accordo è stato ratificato il 23 gennaio 2007 da un Consiglio dei Ministri privo della sua componente sciita contrariamente a quanto dispone la Costituzione (6 ministri sciiti si erano dimessi alla fine del 2006 a seguito della crisi di governo provocata dall'aggressione israeliana del luglio-agosto dello stesso anno). Il Libano è un paese nel quale convivono 18 diverse comunità confessionali. La sua Costituzione prevede che in ogni organismo statale, a livello politico o amministrativo, siano rappresentate tutte le componenti comunitarie. Qualsiasi accordo siglato da un governo privo di una di queste è dunque da ritenersi un atto quantomeno di dubbia costituzionalità.

Per quanto riguarda poi l'autenticità degli intenti dei promotori del tribunale, anche questa lascia numerosi dubbi. Il TSL è nato su richiesta del primo ministro Fouad Siniora, con lo scopo di aiutare il Libano a cercare la verità sull'attentato a Rafiq Hariri e assicurare i responsabili alla giustizia.
Il Libano è un paese che è uscito solo nel '90 da una sanguinosa guerra civile durata 15 anni, durante la quale è stato devastato dai bombardamenti e che ha visto nel paese consumarsi atrocità di ogni genere le cui cicatrici sono ancora oggi evidenti nella società libanese e sulle mura degli edifici di Beirut. Dunque, perché non creare un tribunale per investigare sui crimini compiuti e giudicare i criminali della guerra civile? Perché non chiudere una volta per tutte questa pagina dolorosa che è stata di gran lunga la più significativa della recente storia libanese e che indubbiamente sarebbe materia di competenza di un tribunale internazionale? Il problema è che i leader delle milizie responsabili dei crimini sono tutti in parlamento o nel governo.
Secondo, il 18 luglio 2005, solo qualche mese dopo l'attentato, e solo qualche mese prima che il governo libanese inviasse all'ONU una formale richiesta per la creazione di un tribunale (13 dicembre 2005), il parlamento libanese, lo stesso parlamento che aveva dato la fiducia al governo di Rafiq Hariri, ha votato una legge di amnistia grazie alla quale Samir Geagea (leader di una delle milizie che hanno insanguinato il Libano durante la guerra civile), condannato all'ergastolo, è stato liberato. Geagea (maronita) è attualmente in parlamento e leader del partito Forze Libanesi alleato della coalizione 14 marzo.

Chi trarrebbe vantaggio da una degenerazione militare della crisi politica?
Una tra le macroscopiche anomalie della vita politica libanese è rappresentata dal fatto che Hezbollah, oltre ad essere un partito dell'arco parlamentare che interagisce con le altre forze nel “normale” dialogo democratico, è anche una milizia, l'unica a non avere ufficialmente consegnato le armi dopo la guerra civile. In realtà più che una milizia si tratta di un vero e proprio esercito, più attrezzato (dall'Iran con la complicità della Siria) ed organizzato dello stesso esercito regolare, tanto da essere riuscito a respingere nel luglio-agosto del 2006 l'aggressione dell'esercito israeliano nel sud del Libano.
Il problema democratico che questa situazione pone sul piano interno è facilmente intuibile, è difficile dialogare alla pari con qualcuno che possiede una pistola e non esita a brandirla, ma anzi la mostra con fierezza e ne giustifica il possesso attribuendosi il ruolo di resistente, di difensore della patria. Ed è proprio per il suo ruolo di “Resistenza” anti-israeliana che tale presenza militare è stata finora tollerata. C'è però un precedente in cui le armi della Resistenza sono state rivolte contro altri libanesi e cioè in occasione degli scontri del maggio 2008 che hanno opposto i sostenitori di Hariri a quelli di Hezbollah (conflitto tutto interno alla comunità musulmana sunniti i primi, sciiti i secondi).
Tale potenza di fuoco garantisce a Hezbollah sul piano nazionale il controllo del sud del Libano e di aree di Beirut a maggioranza sciita, un vero e proprio "Stato nello Stato" che si occupa anche di costruire scuole, ospedali, ecc. Nel confronto con Israele essa costituisce un convincente fattore deterrente che garantisce, per ora, la “Pace” o sarebbe meglio dire la non-belligeranza.
In un tale scenario, nonostante Israele ed Hezbollah continuino costantemente a stuzzicarsi, sembra improbabile che una delle parti abbia una reale intenzione ad impegnarsi in un conflitto dall'imprevedibile esito. Aprire un fronte sud per Hezbollah significherebbe indebolirsi sul piano interno, proprio ora che è già alle prese con un faticoso braccio di ferro politico con gli avversari del 14 marzo. Israele è già stato sconfitto nel 2006 ed ha già il suo bel da fare e da preoccuparsi nel capire cosa sarà del futuro della regione ed in particolare dell'Egitto dopo le recenti rivoluzioni.
Per quanto riguarda la coalizione 14 marzo, nonostante le frizioni interne, sembra abbia già definito i suoi obiettivi cardine: il sostegno al TSL, una campagna per un non-weapon state (cioè il disarmo di Hezbollah) e la protezione dei beni libanesi pubblici e privati. Per ora questo complesso incastro di interessi sembra garantire la “stabilità” del Libano, almeno fino alla pubblicazione dell'atto d'accusa del TSL e spiega l'evoluzione politica attuale, il cambio di maggioranza e le difficoltà di Miqati nella costruzione di un governo consensuale.

C'è davvero da essere preoccupati per una ripresa della guerra civile?
Alla luce di quanto detto finora mi sento di sbilanciarmi verso una risposta negativa, che rimane però un modesto parere a cui si aggiunge il fattore dell'imprevedibilità mediorientale. Modesto parere confortato però da numerose opinioni raccolte qui a Beirut (giornalisti, analisti, amici/che, tassisti, cittadini comuni) secondo le quali, al massimo, si verificheranno scontri isolati un po' come nel 2008, ma niente di più.

Nell'attesa della pubblicazione dell'atto d'accusa ci si gode i caffè sul lungomare della Corniche ed il tiepido inverno libanese.

Ghigo Orson Galera

"Il popolo vuole la caduta del regime comunitario-confessionale"

Beirut, 6 marzo 2011 - La manifestazione del 27 febbraio era stata ostacolata da una pioggia torrenziale, ma era riuscita comunque a radunare intorno alle 2000 persone, selezionando il nocciolo duro della protesta. Già si intravedeva una buona partecipazione anche nel senso di varietà nella provenienza sociale e confessionale dei partecipanti. Dalla manifestazione del 6 marzo dunque ci si aspettavano conferme in termini di quantità e di qualità.
Per quantità intendo banalmente il numero dei presenti, per qualità la varietà della provenienza comunitaria degli stessi.

Una domanda fondamentale da porsi è se l'abbattimento del regime confessionale-comunitario possa divenire un obiettivo che riesca ad unire i libanesi piuttosto che a dividerli ulteriormente. Direi che con la manifestazione di domenica (6 marzo) il popolo libanese abbia risposto a questa sfida "Presente!". Questa ha dimostrato che c'è una fetta ampia e soprattutto trasversale della società che non appoggia questo sistema e pretende un cambiamento.

Lo slogan più gettonato è stato lo stesso che ha caratterizzato la manifestazione del 27 febbraio e le più celebri rivoluzioni tunisina ed egiziana ovvero “Ashab iurid asqat an-nizam al-taifi”!! il popolo vuole la caduta del regime, con una piccola variazione tutta libanese che testimonia la particolarità della situazione nel paese dei cedri, infatti qui si aggiunge “al-taifi” che sta per comunitario-confessionale (quindi “Il popolo vuole la caduta del regime comunitario-confessionale!”).

La lunga giornata di mobilitazione, di domenica 6 marzo, si è aperta con un incontro alle 11 in una sala dell'Unesco bldg durante il quale, davanti ad una platea di qualche centinaia di persone, tra cui numerosi giornalisti e telecamere, le varie componenti del movimento hanno definito slogan e dettagli della manifestazione. I toni della discussione si sono alzati improvvisamente quando si è abordato l'argomento Hezbollah e relativa milizia, in questo momento tema molto sentito in tutto il paese. I “pro” sostengono che sia una forza necessaria di resistenza a Israele, i “contro” che le forze di Hezbollah debbano essere assorbite da quelle dell'esercito nazionale o comunque debbano essere poste sotto il controllo dello Stato perché rappresentano una minaccia per la democrazia. Il nodo è stato superato rimandando la discussione ad un secondo momento in quanto problema secondario.
Erano presenti in sala due esponenti di Amal vicini al Presidente della Camera Nabih Berri. Sono stati allontanati per evitare rischi di strumentalizzazione. Tra l'altro Lunedì 7, il giorno dopo la manifestazione, lo stesso Berri ha dichiarato di sostenere il movimento e ha invitato i simpatizzanti del suo partito, Amal (sciita), a partecipare a titolo personale alle prossime manifestazioni. La riunione si è conclusa verso le 13h30.

La manifestazione è partita da Dora (che si legge Daura) intorno alle 15 e si è diretta verso l'Electricity bldg nel quartiere di Mar Mikhayel Nahr, presidiato niente meno che da un carro blindato, dove si è conclusa poco prima delle 18. L'Electricity bldg è la sede dell'ente libanese per l'energia elettrica criticato per la sua corruzione e la sua poca trasparenza, quindi simbolo del regime confessionale.

A marciare c'erano davvero tutti/e, tutte le fasce d'età da 0 a 90 anni, molte famiglie con i bambini, alcuni molto piccoli, (questo anche ad indicare che si è trattato di una manifestazione assolutamente pacifica) e persone più anziane. C'erano le donne, donne velate e non, sunnite, sciite, cristiane, laiche, atee, ecc. C'erano figure religiose, so che ha partecipato Gregoire Haddad (87 anni), soprannominato a suo tempo “l'eveque rouge” (il vescovo rosso), religioso cristiano di rito greco-cattolico, figura molto importante anche dal punto di vista politico. E' stato il fondatore negli anni '60 del Mouvement social, associazione caritatevole di matrice cristiana impegnata sul piano sociale, ma anche su quello della laicità. C'era lo cheiyk Ali Al Sayad figura religiosa sunnita, e membro di Dar al-Fatwa (autorità religiosa sunnita), al quale ho chiesto come mai un religioso partecipasse ad una manifestazione per la laicità. Lui mi ha risposto che a causa del sistema confessionale i politici usano la religione e le divisioni religiose a proprio favore per acquisire potere ed arricchirsi tessendo reti clientelari e di corruzione, quindi lui era naturalmente contrario a quest'uso distorto della Fede.
Ovviamente c'erano gli attivisti del gruppo organizzatore, militanti della sinistra, c'erano studenti, intellettuali, ma soprattutto c'era ciò che un po' era mancato domenica 27 febbraio e cioè la gente comune. Anche i curiosi ai bordi della strada, le persone affacciate alle finestre e ai balconi che guardavano il corteo sfilare erano più propensi a sorridere e a salutare piuttosto che a fischiare o disapprovare.

Le voci circolate sul numero dei partecipanti sono state molto discordanti e sono passate da un minimo di 3.000 ad un massimo di 20.000 persone. Alcuni giornali hanno parlato di 15.000 presenze. Insomma si può ritenere che fra le 10.000 e le 15.000 persone sia un'approssimazione ragionevole. A prescindere dai numeri e dalle virgole, il dato che conta è indubitabile. C'è stata una forte partecipazione e la manifestazione è stata decisamente un successo. Anche questa volta senza bandiere di partito, ma con molte bandiere libanesi, tutti/e a cantare l'inno nazionale, all'insegna dell'unione del popolo libanese contro un sistema che lo vuole diviso. Per quanto riguarda il futuro del movimento gli organizzatori non si sbilanciano, quando ho chiesto ad Ali o ad Arabi, quale pensano sia il prossimo passo, mi hanno risposto che la gente lo deciderà, perché come spesso tengono ad affermare si tratta di un movimento spontaneo, nato da un'esigenza sentita da molti/e e sarà la “strada” a dare la direzione. Intanto alcune riunioni sono previste per i prossimi giorni. Credo che, come è stato fino ad ora, riceverò presto, su Facebook, un invito a partecipare alla prossima manifestazione perché “La gente vuole che il regime cada!”.

Ghigo Orson Galera