domenica 20 marzo 2011

La Seconda Rivoluzione dei Cedri?

La coalizione "14 marzo" per celebrare il sesto anniversario della Rivoluzione dei Cedri (14 marzo 2005), chiama il proprio popolo a radunarsi in massa come sei anni fa in Piazza dei Martiri nel centro di Beirut. Questa volta non per chiedere il ritiro delle forze siriane dal territorio libanese, ma per dire “NO!” alle armi “illegittime” di un avversario interno, Hezbollah.

Beirut, 13 marzo 2011 - Sono appena le prime ore del giorno, quando si cominciano a sentire in lontananza i primi segni della giornata che sarà. Il clima è perfetto, cielo terso e sole primaverile. Dalle 9.00 inizia un crescendo di clacson, di megafoni, di cori e di vociare. Il popolo del 14 marzo ha cominciato ad affluire verso piazza dei Martiri dove tutto è stato attrezzato già dal giorno prima per celebrare il sesto anniversario della Rivoluzione dei Cedri. A partire dalle 11.00 sono previsti, in ordine di importanza, gli interventi di vari leader ed esponenti della coalizione in un climax che avrà il suo culmine col discorso di Saad Hariri, primo ministro fino al 12 gennaio scorso, ora in carica ad interim.

Avvicinandosi alla piazza aumenta la concentrazione delle forze di polizia e dell'esercito che per evitare disordini hanno blindato la piazza con posti di blocco (utilizzando i carri armati) già a qualche centinaio di metri dall'ingresso della stessa. La piazza è tutta transennata e per accedervi bisogna passare per una perquisizione. Non solo, i leader si rivolgeranno alla piazza protetti da una schermatura in vetro antiproiettile che li dividerà dai loro sostenitori. Insomma nulla o quasi è lasciato al caso.
Una volta passati i controlli si apre davanti agli occhi una piazza carica di sole, persone e bandiere. Intorno al milione di presenze, si dirà poi, provenienti da tutto il Libano, ma anche dall'estero, dai paesi della diaspora libanese (Francia, Canada, Gran Bretagna, Stati Uniti, Costa d'Avorio, ecc.).
A prevalere sono le bandiere del Libano, ma non mancano bandiere di partito, quelle azzurre del movimento di Hariri Tayyar al-Mustaqbal (Corrente del Futuro), bandiere falangiste (del partito Kataeb), bandiere delle Forze Libanesi (partito di Samir Geagea) e un po' a sorpresa si intravedono alcune bandiere del Partito Socialista Progressista (partito druso) a testimoniare una seppur piccola, ma significativa fedeltà della comunità drusa alla coalizione. Nei mesi scorsi infatti il leader del partito druso, Walid Jumblat, ha lasciato la coalizione 14 marzo per aggregarsi a quella dell'8 marzo (consegnando a quest'ultima, seppure per pochi deputati, la maggioranza parlamentare). C'è chi dice, maliziosamente, per evitare ritorsioni da parte di Hezbollah e/o della Siria, c'è chi dice per senso di responsabilità nazionale.

A vegliare sulla piazza ci sono le gigantografie dei volti dei Martiri della Rivoluzione dei Cedri: Rafiq Hariri, Samir Kassir, George Hawi, Gebran Tueni, Pierre Amine Gemayel, Walid Eido, Antoine Ghanem. Uomini politici e giornalisti tutti assassinati tra il giugno 2005 ed il settembre 2007.

La parola d'ordine di questa giornata è “NO!” (“LA!” in arabo). “LA!” si legge sulle magliette e sui berretti di numerosi presenti. No alle armi che non siano quelle dell'esercito regolare libanese, no ai ricatti delle milizie armate (chiaro riferimento al partito/milizia sciita Hezbollah), no all'abbandono da parte del prossimo governo dell'intesa stipulata con l'ONU per il Tribunale Speciale per il Libano (TSL), no alla strategia stragista mirata ad eliminare personaggi scomodi della politica e della cultura che ha caratterizzato il recente passato del paese, no all'influenza delle potenze straniere nella vita politica libanese (Iran, Siria, ma anche Israele).

Dopo una serie di interventi da parte dei leader dei partiti minori e di altri esponenti della coalizione, tra cui Elias Atallah, della Sinistra Democratica (partito che ha tra i suoi fondatori uno dei martiri il giornalista Samir Kassir, ucciso nel giugno del 2005), Sebouh Kalbakian del partito della comunità armena Henchak e Dory Chamoun del Partito Liberale Nazionale, è stata la volta dei big.


Ad aprire le danze è Samir Geagea, il “Dottore” (Hakim), come viene chiamato qui, carismatico e controverso leader delle Forze Libanesi, nonché ex warlord condannato all'ergastolo per aver ordinato quattro omicidi politici durante la guerra civile (tra cui quello dell'ex premier Rashid Karami) e in libertà grazie ad un'amnistia votata dal Parlamento appositamente per lui nel luglio 2005.
Un grande boato della folla segue l'annuncio del suo arrivo sul palco, seguito dal coro “HAKIM! HAKIM!” che contagia tutta la piazza.
Geagea scalda i presenti annunciando una Seconda Rivoluzione dei Cedri, questa volta non diretta all'allontanamento di un nemico esterno dal territorio libanese (all'epoca le forze siriane), ma contro un nemico interno armato, Hezbollah, e contro il suo “statelet”, Stato nello Stato.

Anche Amin Gemayel alla testa del partito falangista Kataeb (ex milizia), riafferma i principi della Rivoluzione dei Cedri. Secondo l'ex Presidente della Repubblica, Hezbollah ha dimenticato la sua funzione anti-israeliana, ha dimenticato le varie questioni territoriali causa di controversie tra i due paesi confinanti e ha rivolto verso l'interno il suo potenziale militare servendosene nella discussione politica come leva di ricatto costante. Il suo solo obiettivo, secondo Gemayel, è l'annullamento dell'intesa stipulata dal Libano con l'ONU sul TSL (che si suppone stia per accusare alcuni esponenti di primo piano del partito sciita), ma “noi vogliamo che il TSL faccia luce sulla verità”. Insiste ancora l'ex presidente affermando che “l'unità e la stabilità del paese non potranno mai essere realizzate senza che le armi illegittime vengano rimosse”. Solo così è possibile “salvare il Libano e costruire lo Stato”.

Nell'attesa del leader della coalizione, Saad Hariri, vengono srotolati lungo i due lati dell'edificio del Virgin Megastore, alle spalle del palco, due enormi teli. Da un lato la bandiera libanese, dall'altro una gigantografia del sovrano saudita Abd Allah bin Abd al-Aziz Al Saud a ribadire, se ce ne fosse bisogno, chi c'è dietro alla famiglia Hariri e al sostegno alla comunità sunnita libanese.

La musica annuncia l'imminente arrivo di Saad Hariri e partono i cori “Saad! Saad!” sulla scia dei quali fa il suo ingresso trionfale il quarantenne figlio dell'ex premier Rafiq Hariri (ucciso sei anni fa in un attentato e sul cui assassinio sta investigando il già citato Tribunale Speciale per il Libano). La piazza si scalda per la presenza sul palco del suo leader e per il sole già pienamente primaverile nonostante sia appena metà marzo. Hariri con un gesto che si addice più ad una rockstar che ha un capo di partito si toglie la giacca e si rimbocca le maniche, la folla apprezza ed esulta. Faticando a sovrastare con la sua voce gli incitamenti della folla comincia il suo discorso. E' “impossibile che le armi sconfiggano un popolo che chiede verità, giustizia e democrazia”. “Noi non rinunceremo alla nostra libertà, alla democrazia e alla Costituzione” e aggiunge che tutte le armi fuori dal controllo dello Stato devono essere consegnate all'esercito, questo “Non è impossibile!”. “Ciò che vogliamo è che sia l'esercito libanese a difenderci da Israele” e non Hezbollah. Al contrario, insiste Hariri, “impossibile è che qualcuno mantenga la propria poltrona per venti anni”, facendo riferimento a Nabih Berri leader di Amal (movimento sciita che fa parte della coalizione 8 marzo) da venti anni Presidente della Camera. “Accettate armi che siano fuori dal controllo dello Stato? Accettate un governo che cerchi di eliminare il TSL?” Saad Hariri incalza la piazza che euforica ad ogni domanda risponde all'unisono con un secco “NO!”. E ancora “Accettate che il Libano sia in mani straniere?” (alludendo all'Iran e alla Siria). “Avete sentito loro (8 marzo) dire ancora una volta che (ottenere ciò che rivendichiamo) è impossibile. Ma questo non funzionerà perché già sei anni fa, quando Rafik Hariri fu martirizzato e ci siamo riuniti in questa piazza, sapevamo che nulla è impossibile" ribadisce Hariri.

Terminato il discorso il leader sunnita saluta il suo popolo e lo invita a seguire il corteo di auto (dei SUV blindatissimi) con cui si allontanerà dalla piazza, per un ultimo bagno di folla. La piazza risponde accerchiando il corteo di vetture parcheggiate dietro al palco per salutare il proprio beniamino. Poi tutti tornano a casa, chi a piedi, chi in macchina, chi a bordo di un autobus sgangherato; stanchi, ma soddisfatti per le parole di fermezza che hanno sentito pronunciare dai propri leader.

L'unico “incidente” della giornata viene registrato in serata nella regione della Bekaa dove alcuni giovani hanno bloccato le strade dando fuoco ad alcuni pneumatici per ostacolare il rientro di coloro che tornavano da Beirut. Una piccola provocazione che non ha macchiato una giornata sostanzialmente di festa.

Ghigo Orson Galera

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