domenica 20 marzo 2011

Libano: rischio guerra civile?

Con l'approssimarsi della pubblicazione dell'atto d'accusa del Tribunale Speciale per il Libano (TSL) ed il protrarsi della crisi politica, si moltiplicano le espressioni di preoccupazione per la situazione libanese da parte di capi di stato e di governo, dei media nazionali ed internazionali e dei comuni cittadini.
Nei “Service” (taxi libanesi), nei caffè, tra amici, la domanda che domina le discussioni è se questa crisi porterà ad uno scontro tra comunità (o addirittura ad una nuova guerra civile) oppure se al contrario si risolverà attraverso una pacifica mediazione politica.

Ma quali sono le ragioni di tale crisi politica? Cos'è il Tribunale Speciale per il Libano (TSL) ? Chi trarrebbe vantaggio da una degenerazione militare della crisi politica? C'è davvero da preoccuparsi per una guerra civile?

Le ragioni della crisi, riassunto delle puntate precedenti
La crisi politica libanese dipana lentamente la sua matassa, anche se il nodo che deve venire al pettine è ancora lontano dall'essere sciolto. Il nodo si chiama TSL, il pomo della discordia al centro del dibattito politico libanese ormai da più di un anno e mezzo, cioè da quando è trapelata la notizia (pubblicata nel maggio del 2009 dal quotidiano tedesco Der Spiegel e ripresa da un reportage della CBC canadese nel novembre 2010), che nell'atto d'accusa del procuratore canadese Bellemare (incaricato di investigare sull'attentato in cui ha trovato la morte l'ex premier Rafiq Hariri insieme ad altre 22 persone il 14 febbraio 2005) sarebbero presenti i nomi di alcuni esponenti di primo piano del partito/milizia sciita Hezbollah (letteralmente “Partito di Dio”). Da luglio scorso è iniziato un braccio di ferro tra le due coalizioni 14 marzo (Saad Hariri) e 8 marzo (Hezbollah) sul TSL, con relativa crisi politica che ha bloccato l'attività del governo Hariri (Saad, figlio di Rafiq) e che si è concluso con lo scioglimento dello stesso il 12 gennaio scorso a seguito delle dimissioni di 11 ministri, 10 della coalizione 8 marzo (Hezbollah, Amal, e il Movimento Patriottico Libero di Michel Aoun) e di uno tra i cinque nominati dal presidente Sleiman (la Costituzione libanese prevede lo scioglimento automatico del governo nel caso in cui più di 1/3 dei ministri si dimettano, in questo caso 11 su 30). Parallelamente, una fantomatica quanto apparentemente inefficace trattativa è stata condotta a livello internazionale tra Siria ed Arabia Saudita per mediare tra le parti ed evitare il peggio (nuovi scontri inter-comunitari come accaduto nel maggio 2008). Altre polemiche hanno accompagnato le consultazioni che hanno portato alla formazione della nuova maggioranza parlamentare, questa volta pro-8 marzo, e la designazione del nuovo primo ministro il sunnita Najib Miqati (imprenditore, uomo tra i più ricchi del paese).
Il primo ministro uscente, Saad Hariri (14 marzo), da un lato, ha accusato Miqati di tradimento perché eletto deputato nel 2009 tra le fila della sua stessa coalizione e perché troppo accondiscendente verso le richieste di Hezbollah relative all'abbandono da parte del governo dell'intesa sul TSL stipulata con l'ONU. Dall'altro, accusa l'8 marzo di essere responsabile di un colpo di stato consumatosi con la caduta del governo e la rottura di fatto dell'accordo di Doha del 2008. Miqati risponde dichiarando che il suo non sarà un governo di parte, ma “consensuale” (cioè rappresentativo di tutte le componenti comunitarie), inoltre lascia aperta la prospettiva di un governo tecnico visto che il 14 marzo ha già avvertito che non parteciperà al prossimo governo. L'8 marzo afferma invece di aver agito nell'ambito democratico delle facoltà che gli sono consentite dalla Costituzione in quanto opposizione e rinvia al mittente le accuse di colpo di stato. Negli ultimi giorni la coalizione di Hariri ha lasciato intendere di voler aprire margini di dialogo per la formazione del nuovo governo, tant'è che Amin Gemayel (cristiano maronita), leader del partito falangista (Kataeb, coalizione 14 marzo) ha dichiarato di “Voler dare una chance al governo Miqati” anche se, ha ribadito, che in ogni caso si adeguerà alla decisione presa all'interno della coalizione. Nel frattempo è cominciata la spartizione dei ministeri ancora tutta da definire. In pole position, con le loro richieste e pressioni, ci sono Michel Aoun per il Ministero degli Interni (leader del Movimento Patriottico Libero, cristiano) e Nabih Berri (Presidente della Camera e leader di Amal, sciita) entrambi della coalizione 8 marzo.

Cos'è il Tribunale Speciale per il Libano ?
Il TSL è un organismo delle Nazioni Unite creato ad hoc, su richiesta del governo libanese, per investigare sull'attentato dinamitardo in cui il 14 febbraio del 2005 ha trovato la morte l'ex-premier libanese Rafiq Hariri insieme ad altre 22 persone. Inoltre la giurisdizione del tribunale può essere estesa agli attentati avvenuti in Libano tra il 1 ottobre 2004 ed il 12 dicembre 2005.

Il TSL presenta alcuni punti non chiari che interessano principalmente tre aspetti: la sua legalità internazionale, la sua costituzionalità interna e l'autenticità degli intenti di coloro che ne hanno promosso la creazione.

I dubbi sulla legalità internazionale del TSL concernono la competenza di un tribunale internazionale a giudicare di un crimine che dovrebbe essere materia di giurisdizione interna di uno Stato sovrano. Il TSL rappresenta un'eccezione rispetto ai tribunali internazionali istituiti nel passato proprio nel suo mandato. Per il diritto internazionale, la competenza di tali tribunali riguarda i cosiddetti crimina iuris gentium come il genocidio, i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione. L'attentato a Rafiq Hariri non appartiene a nessuna di queste categorie.

Per quanto concerne la legalità interna, i dubbi riguardano il rispetto della Costituzione libanese che prevede all'art. 52 che i trattati internazionali siano negoziati dal Presidente della Repubblica in accordo col Primo Ministro e che vengano ratificati dal Consiglio dei Ministri e dal Parlamento.
Innanzitutto, l'accordo col quale è stato istituito il TSL non è stato ratificato dal Parlamento per l'opposizione del Presidente della Camera Nabih Berri che si è rifiutato di convocare la seduta. Il primo ministro dell'epoca Fouad Siniora ha dunque semplicemente inviato una lettera al Segretario Generale dell'ONU nella quale affermava che, nonostante la mancata votazione, era stato informato che la maggioranza dei parlamentari si era dichiarata favorevole all'istituzione del tribunale e dunque sollecitava una rapida adozione delle azioni necessarie alla sua creazione.
Inoltre tale accordo è stato ratificato il 23 gennaio 2007 da un Consiglio dei Ministri privo della sua componente sciita contrariamente a quanto dispone la Costituzione (6 ministri sciiti si erano dimessi alla fine del 2006 a seguito della crisi di governo provocata dall'aggressione israeliana del luglio-agosto dello stesso anno). Il Libano è un paese nel quale convivono 18 diverse comunità confessionali. La sua Costituzione prevede che in ogni organismo statale, a livello politico o amministrativo, siano rappresentate tutte le componenti comunitarie. Qualsiasi accordo siglato da un governo privo di una di queste è dunque da ritenersi un atto quantomeno di dubbia costituzionalità.

Per quanto riguarda poi l'autenticità degli intenti dei promotori del tribunale, anche questa lascia numerosi dubbi. Il TSL è nato su richiesta del primo ministro Fouad Siniora, con lo scopo di aiutare il Libano a cercare la verità sull'attentato a Rafiq Hariri e assicurare i responsabili alla giustizia.
Il Libano è un paese che è uscito solo nel '90 da una sanguinosa guerra civile durata 15 anni, durante la quale è stato devastato dai bombardamenti e che ha visto nel paese consumarsi atrocità di ogni genere le cui cicatrici sono ancora oggi evidenti nella società libanese e sulle mura degli edifici di Beirut. Dunque, perché non creare un tribunale per investigare sui crimini compiuti e giudicare i criminali della guerra civile? Perché non chiudere una volta per tutte questa pagina dolorosa che è stata di gran lunga la più significativa della recente storia libanese e che indubbiamente sarebbe materia di competenza di un tribunale internazionale? Il problema è che i leader delle milizie responsabili dei crimini sono tutti in parlamento o nel governo.
Secondo, il 18 luglio 2005, solo qualche mese dopo l'attentato, e solo qualche mese prima che il governo libanese inviasse all'ONU una formale richiesta per la creazione di un tribunale (13 dicembre 2005), il parlamento libanese, lo stesso parlamento che aveva dato la fiducia al governo di Rafiq Hariri, ha votato una legge di amnistia grazie alla quale Samir Geagea (leader di una delle milizie che hanno insanguinato il Libano durante la guerra civile), condannato all'ergastolo, è stato liberato. Geagea (maronita) è attualmente in parlamento e leader del partito Forze Libanesi alleato della coalizione 14 marzo.

Chi trarrebbe vantaggio da una degenerazione militare della crisi politica?
Una tra le macroscopiche anomalie della vita politica libanese è rappresentata dal fatto che Hezbollah, oltre ad essere un partito dell'arco parlamentare che interagisce con le altre forze nel “normale” dialogo democratico, è anche una milizia, l'unica a non avere ufficialmente consegnato le armi dopo la guerra civile. In realtà più che una milizia si tratta di un vero e proprio esercito, più attrezzato (dall'Iran con la complicità della Siria) ed organizzato dello stesso esercito regolare, tanto da essere riuscito a respingere nel luglio-agosto del 2006 l'aggressione dell'esercito israeliano nel sud del Libano.
Il problema democratico che questa situazione pone sul piano interno è facilmente intuibile, è difficile dialogare alla pari con qualcuno che possiede una pistola e non esita a brandirla, ma anzi la mostra con fierezza e ne giustifica il possesso attribuendosi il ruolo di resistente, di difensore della patria. Ed è proprio per il suo ruolo di “Resistenza” anti-israeliana che tale presenza militare è stata finora tollerata. C'è però un precedente in cui le armi della Resistenza sono state rivolte contro altri libanesi e cioè in occasione degli scontri del maggio 2008 che hanno opposto i sostenitori di Hariri a quelli di Hezbollah (conflitto tutto interno alla comunità musulmana sunniti i primi, sciiti i secondi).
Tale potenza di fuoco garantisce a Hezbollah sul piano nazionale il controllo del sud del Libano e di aree di Beirut a maggioranza sciita, un vero e proprio "Stato nello Stato" che si occupa anche di costruire scuole, ospedali, ecc. Nel confronto con Israele essa costituisce un convincente fattore deterrente che garantisce, per ora, la “Pace” o sarebbe meglio dire la non-belligeranza.
In un tale scenario, nonostante Israele ed Hezbollah continuino costantemente a stuzzicarsi, sembra improbabile che una delle parti abbia una reale intenzione ad impegnarsi in un conflitto dall'imprevedibile esito. Aprire un fronte sud per Hezbollah significherebbe indebolirsi sul piano interno, proprio ora che è già alle prese con un faticoso braccio di ferro politico con gli avversari del 14 marzo. Israele è già stato sconfitto nel 2006 ed ha già il suo bel da fare e da preoccuparsi nel capire cosa sarà del futuro della regione ed in particolare dell'Egitto dopo le recenti rivoluzioni.
Per quanto riguarda la coalizione 14 marzo, nonostante le frizioni interne, sembra abbia già definito i suoi obiettivi cardine: il sostegno al TSL, una campagna per un non-weapon state (cioè il disarmo di Hezbollah) e la protezione dei beni libanesi pubblici e privati. Per ora questo complesso incastro di interessi sembra garantire la “stabilità” del Libano, almeno fino alla pubblicazione dell'atto d'accusa del TSL e spiega l'evoluzione politica attuale, il cambio di maggioranza e le difficoltà di Miqati nella costruzione di un governo consensuale.

C'è davvero da essere preoccupati per una ripresa della guerra civile?
Alla luce di quanto detto finora mi sento di sbilanciarmi verso una risposta negativa, che rimane però un modesto parere a cui si aggiunge il fattore dell'imprevedibilità mediorientale. Modesto parere confortato però da numerose opinioni raccolte qui a Beirut (giornalisti, analisti, amici/che, tassisti, cittadini comuni) secondo le quali, al massimo, si verificheranno scontri isolati un po' come nel 2008, ma niente di più.

Nell'attesa della pubblicazione dell'atto d'accusa ci si gode i caffè sul lungomare della Corniche ed il tiepido inverno libanese.

Ghigo Orson Galera

"Il popolo vuole la caduta del regime comunitario-confessionale"

Beirut, 6 marzo 2011 - La manifestazione del 27 febbraio era stata ostacolata da una pioggia torrenziale, ma era riuscita comunque a radunare intorno alle 2000 persone, selezionando il nocciolo duro della protesta. Già si intravedeva una buona partecipazione anche nel senso di varietà nella provenienza sociale e confessionale dei partecipanti. Dalla manifestazione del 6 marzo dunque ci si aspettavano conferme in termini di quantità e di qualità.
Per quantità intendo banalmente il numero dei presenti, per qualità la varietà della provenienza comunitaria degli stessi.

Una domanda fondamentale da porsi è se l'abbattimento del regime confessionale-comunitario possa divenire un obiettivo che riesca ad unire i libanesi piuttosto che a dividerli ulteriormente. Direi che con la manifestazione di domenica (6 marzo) il popolo libanese abbia risposto a questa sfida "Presente!". Questa ha dimostrato che c'è una fetta ampia e soprattutto trasversale della società che non appoggia questo sistema e pretende un cambiamento.

Lo slogan più gettonato è stato lo stesso che ha caratterizzato la manifestazione del 27 febbraio e le più celebri rivoluzioni tunisina ed egiziana ovvero “Ashab iurid asqat an-nizam al-taifi”!! il popolo vuole la caduta del regime, con una piccola variazione tutta libanese che testimonia la particolarità della situazione nel paese dei cedri, infatti qui si aggiunge “al-taifi” che sta per comunitario-confessionale (quindi “Il popolo vuole la caduta del regime comunitario-confessionale!”).

La lunga giornata di mobilitazione, di domenica 6 marzo, si è aperta con un incontro alle 11 in una sala dell'Unesco bldg durante il quale, davanti ad una platea di qualche centinaia di persone, tra cui numerosi giornalisti e telecamere, le varie componenti del movimento hanno definito slogan e dettagli della manifestazione. I toni della discussione si sono alzati improvvisamente quando si è abordato l'argomento Hezbollah e relativa milizia, in questo momento tema molto sentito in tutto il paese. I “pro” sostengono che sia una forza necessaria di resistenza a Israele, i “contro” che le forze di Hezbollah debbano essere assorbite da quelle dell'esercito nazionale o comunque debbano essere poste sotto il controllo dello Stato perché rappresentano una minaccia per la democrazia. Il nodo è stato superato rimandando la discussione ad un secondo momento in quanto problema secondario.
Erano presenti in sala due esponenti di Amal vicini al Presidente della Camera Nabih Berri. Sono stati allontanati per evitare rischi di strumentalizzazione. Tra l'altro Lunedì 7, il giorno dopo la manifestazione, lo stesso Berri ha dichiarato di sostenere il movimento e ha invitato i simpatizzanti del suo partito, Amal (sciita), a partecipare a titolo personale alle prossime manifestazioni. La riunione si è conclusa verso le 13h30.

La manifestazione è partita da Dora (che si legge Daura) intorno alle 15 e si è diretta verso l'Electricity bldg nel quartiere di Mar Mikhayel Nahr, presidiato niente meno che da un carro blindato, dove si è conclusa poco prima delle 18. L'Electricity bldg è la sede dell'ente libanese per l'energia elettrica criticato per la sua corruzione e la sua poca trasparenza, quindi simbolo del regime confessionale.

A marciare c'erano davvero tutti/e, tutte le fasce d'età da 0 a 90 anni, molte famiglie con i bambini, alcuni molto piccoli, (questo anche ad indicare che si è trattato di una manifestazione assolutamente pacifica) e persone più anziane. C'erano le donne, donne velate e non, sunnite, sciite, cristiane, laiche, atee, ecc. C'erano figure religiose, so che ha partecipato Gregoire Haddad (87 anni), soprannominato a suo tempo “l'eveque rouge” (il vescovo rosso), religioso cristiano di rito greco-cattolico, figura molto importante anche dal punto di vista politico. E' stato il fondatore negli anni '60 del Mouvement social, associazione caritatevole di matrice cristiana impegnata sul piano sociale, ma anche su quello della laicità. C'era lo cheiyk Ali Al Sayad figura religiosa sunnita, e membro di Dar al-Fatwa (autorità religiosa sunnita), al quale ho chiesto come mai un religioso partecipasse ad una manifestazione per la laicità. Lui mi ha risposto che a causa del sistema confessionale i politici usano la religione e le divisioni religiose a proprio favore per acquisire potere ed arricchirsi tessendo reti clientelari e di corruzione, quindi lui era naturalmente contrario a quest'uso distorto della Fede.
Ovviamente c'erano gli attivisti del gruppo organizzatore, militanti della sinistra, c'erano studenti, intellettuali, ma soprattutto c'era ciò che un po' era mancato domenica 27 febbraio e cioè la gente comune. Anche i curiosi ai bordi della strada, le persone affacciate alle finestre e ai balconi che guardavano il corteo sfilare erano più propensi a sorridere e a salutare piuttosto che a fischiare o disapprovare.

Le voci circolate sul numero dei partecipanti sono state molto discordanti e sono passate da un minimo di 3.000 ad un massimo di 20.000 persone. Alcuni giornali hanno parlato di 15.000 presenze. Insomma si può ritenere che fra le 10.000 e le 15.000 persone sia un'approssimazione ragionevole. A prescindere dai numeri e dalle virgole, il dato che conta è indubitabile. C'è stata una forte partecipazione e la manifestazione è stata decisamente un successo. Anche questa volta senza bandiere di partito, ma con molte bandiere libanesi, tutti/e a cantare l'inno nazionale, all'insegna dell'unione del popolo libanese contro un sistema che lo vuole diviso. Per quanto riguarda il futuro del movimento gli organizzatori non si sbilanciano, quando ho chiesto ad Ali o ad Arabi, quale pensano sia il prossimo passo, mi hanno risposto che la gente lo deciderà, perché come spesso tengono ad affermare si tratta di un movimento spontaneo, nato da un'esigenza sentita da molti/e e sarà la “strada” a dare la direzione. Intanto alcune riunioni sono previste per i prossimi giorni. Credo che, come è stato fino ad ora, riceverò presto, su Facebook, un invito a partecipare alla prossima manifestazione perché “La gente vuole che il regime cada!”.

Ghigo Orson Galera

lunedì 7 febbraio 2011

Egyptian protesters killed by policemen

Egyptian protester shows his chest to policemen to demonstrate them not to have weapons and they killed him!



A child killed by the egyptian police

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