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martedì 8 luglio 2014

Siria, tra l’incudine e il martello

Democrazia e totalitarismo
In “Democrazia e totalitarismo” Raymond Aron si domanda quale sia “il principio di un regime a partito monopolistico” o autoritario. Secondo l'intellettuale francese una democrazia si fonda su principi quali il “rispetto della legalità” e lo “spirito del compromesso”. Al contrario un regime autoritario non può fondarsi su tali principi perché il regime stesso “sarebbe minacciato di morte” se venisse “corrotto” dallo “spirito democratico del compromesso”. Secondo Aron, le fondamenta di un regime autoritario sono costituite da due elementi principali: la fede e la paura. La fede in un ideale di cui il regime si fa portatore; la paura suscitata nella popolazione. Un ulteriore elemento sarebbe, secondo Maurice Barrés, citato da Aron, la consapevolezza che il popolo ha della propria impotenza rispetto alla possibilità di cambiamento.

Siria – Elezioni presidenziali
Le recenti elezioni presidenziali siriane sono state un primo passo verso la transizione democratica del paese? Com'era ampiamente prevedibile, Bashar al-Asad è stato rieletto, incassando un successo plebiscitario (l'88,7%). Oltre alla ovvia reticenza a mollare il potere da parte del regime, bisogna interrogarsi sulla situazione mediorientale nel suo complesso. Chi potrebbe auspicare l'avvio di un reale processo di democratizzazione in Siria? Il regime? Le potenze regionali - Arabia Saudita, Iran e Israele - o quelle internazionali?

Democratizzazione di Asad
Il clan al-Asad governa la Siria con il pugno di ferro dal 1970. All'inizio del 2011, il regime si è investito nell'opera di repressione violenta e sistematica di un movimento di opposizione a lungo rimasto in larghissima parte pacifico, rifiutando categoricamente di scendere a compromessi sulla questione principale, il ruolo di Bashar al-Asad nel futuro della Siria.

Al contrario, ha perseguito in maniera unilaterale un programma di riforme tardive e di facciata, quali l'abrogazione della legge d'emergenza (subito sostituita da un'altra analoga, anti-terrorismo), la riforma sulla libertà dei media (di fatto sempre sotto il controllo del regime) e la modifica della Costituzione che, dopo oltre 40 anni di monopolio baathista, ha introdotto nella carta fondamentale il pluralismo politico. Quest'ultima riforma prevede inoltre la possibilità per più candidati di competere per la presidenza (le elezioni presidenziali sono sempre state un referendum di reinvestitura del presidente in carica) e stabilisce i criteri di candidabilità degli stessi - ad es.: aver risieduto in Siria per i 10 anni precedenti la candidatura, il che esclude tutti gli oppositori in esilio all'estero - che devono essere verificati dalla Suprema corte costituzionale. Delle 23 domande di candidatura alla presidenza, la Suprema corte ne ha approvate due, quelle di Hassan bin Abdullah al-Nouri (54 anni, uomo d'affari di Damasco) e di Maher Abdul-Hafiz Hajjar (43 anni, deputato indipendente di Aleppo), entrambi pressoché sconosciuti all'opinione pubblica siriana.

Sguardo delle potenze internazionali su Damasco
Perché le potenze regionali e internazionali dovrebbero auspicare per la Siria una transizione verso la democrazia?

Nella guerra civile siriana si riflette, tra gli altri, anche il conflitto tra Arabia Saudita e Iran che questi stanno combattendo all'interno del paese attraverso gruppi affiliati (ad es.: Hezbollah ed i vari gruppi islamisti sostenuti dai sauditi e da altre monarchie del Golfo). Riyadh e Teheran, nemici per eccellenza, trovano però un terreno d'intesa quando si tratta di evitare che si sviluppino nella regione pericolosi esempi di democratizzazione. Anche per Israele, che finora aveva trovato nel regime degli al-Asad il suo “miglior nemico”, una Siria avviata verso un processo di reale democratizzazione diventerebbe una scomoda incognita. Ad un altro livello il conflitto vede contrapposti Stati Uniti e Russia. Lo stesso al-Asad ha dichiarato in una recente intervista al quotidiano libanese Al-Akhbar che “Putin, difendendo la Siria, ha voluto non solo riaffermare la forte alleanza tra di noi, ma anche riequilibrare un ordine internazionale che dalla disintegrazione dell'Unione Sovietica fino all'elezione di Putin è stato dominato da un sistema unipolare guidato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati nella NATO”, esplicitando così l'intenzione della Russia di mantenere nella regione l'equilibrio internazionale precedente alla rivoluzione.

Come riassume bene Muhammad al-Sadiq su Al-Araby Al-Jadeed, il fatto che al-Asad dopotutto sia ancora al potere in Siria, e che Abdel Fattah al-Sisi sia stato eletto presidente in Egitto, suggerisce che la politica del “nessun vincitore, nessun perdente” stia di fatto prevalendo e che, non solo da parte di Riyadh e Teheran, ci sia l'intenzione di mantenere congelata la regione senza discostarsi dai rassicuranti schemi tradizionali.

Da rivoluzione a guerra civile
Inizialmente la rivoluzione siriana era riuscita ad imporre parole d'ordine nuove e precise: libertà, democrazia, giustizia sociale e dignità, nel rispetto delle diversità religiose ed etniche, e dell'unità del paese. A questi principi si rifacevano i comunicati dei gruppi pacifici della prima ora quali ad esempio i Comitati locali di coordinamento. Viceversa, le parole d'ordine imposte da subito dal regime e successivamente dai gruppi infiltratisi, sono servite a riportare il conflitto sui binari di contrapposizioni classiche: imperialismo-resistenza, sunnismo-sciismo, autoritarismo laico-fondamentalismo religioso, Oriente-Occidente.

Ciò che la rivoluzione siriana ha prodotto di più “rivoluzionario”, cioè la sua pacifica, democratica e laica ispirazione, sembra ormai inevitabilmente schiacciato tra l'incudine ed il martello della logica di forme antagoniste, ma egualmente autoritarie, di imperialismo e di fondamentalismo religioso. Forze che stanno riorientando la Siria verso vecchi e strumentali discorsi egemonici di cui queste stesse forze si nutrono, imponendo alla popolazione la convinzione che nessun cambiamento democratico sia possibile e che ciò da cui stavano scappando sia in realtà il loro miglior rifugio.

venerdì 6 aprile 2012

Statement by the Civil Campaign for Electoral Reform

After a long time of being forcibly and intentionally disregarded, the issue of the Parliamentary electoral law has suddenly and forcefully reemerged in political discussions. In the recent period, we have witnessed a number of statements and positions concerning the electoral law in general and proportional representation specifically, in addition to some hesitant demands for other reforms to be implemented, most notably non-resident voting and regulating electoral expenditure.

While the Civil Campaign for Electoral Reform encourages these discussions which it considers necessary, it reminds at the same time of the importance of complying with the legal deadline set by the Mikati Cabinet for adopting an electoral law by June 2012, which is to say that time is running out for any desired reform process. Thus, it is necessary to accelerate the discussions on the electoral file in the Cabinet and its transfer to the Parliament where it would be debated and adopted within the appropriate due processes.
Therefore, the Campaign urges all those concerned with this matter to assume their responsibilities towards their nation, and to grasp the opportunity for real and serious reform of the electoral law. The Campaign will also follow up on the efforts undertaken on this issue and will pressure decision makers in all possible ways for the adoption of proportional representation and the other reforms. For that purpose, CCER would like to announce that as part of the series of activities that it will be organizing in its effort to advocate for the adoption of a democratic electoral law, it is organizing a large popular activity on May 13 in order to urge the government to fulfill its obligations in this matter.

In a related context, the Campaign would like to reemphasize to all Lebanese citizens that the proportional representation system is the fairest and most accurate system in terms of representation, and that all statements being made today which portray proportional representation as a way to marginalize any group in society are inaccurate since these sides view the electoral law as nothing more than a tool for them to reach and maintain power.  Moreover, CCER deplores statements made by some that indicate the possibility of postponing elections in case no new electoral law was adopted or due to specific security issues. Hence, CCER renews its warnings on the dire consequences of delaying elections particularly as the Lebanese Constitution and numerous international agreements maintain the right of the Lebanese citizens to choose their representatives in periodic elections. The tendency to postpone elections is completely unacceptable and the Campaign will work to block such a plan as we did in the period preceding the Municipal elections in 2010.

Beirut, April 5, 2012

domenica 20 marzo 2011

"Il popolo vuole la caduta del regime comunitario-confessionale"

Beirut, 6 marzo 2011 - La manifestazione del 27 febbraio era stata ostacolata da una pioggia torrenziale, ma era riuscita comunque a radunare intorno alle 2000 persone, selezionando il nocciolo duro della protesta. Già si intravedeva una buona partecipazione anche nel senso di varietà nella provenienza sociale e confessionale dei partecipanti. Dalla manifestazione del 6 marzo dunque ci si aspettavano conferme in termini di quantità e di qualità.
Per quantità intendo banalmente il numero dei presenti, per qualità la varietà della provenienza comunitaria degli stessi.

Una domanda fondamentale da porsi è se l'abbattimento del regime confessionale-comunitario possa divenire un obiettivo che riesca ad unire i libanesi piuttosto che a dividerli ulteriormente. Direi che con la manifestazione di domenica (6 marzo) il popolo libanese abbia risposto a questa sfida "Presente!". Questa ha dimostrato che c'è una fetta ampia e soprattutto trasversale della società che non appoggia questo sistema e pretende un cambiamento.

Lo slogan più gettonato è stato lo stesso che ha caratterizzato la manifestazione del 27 febbraio e le più celebri rivoluzioni tunisina ed egiziana ovvero “Ashab iurid asqat an-nizam al-taifi”!! il popolo vuole la caduta del regime, con una piccola variazione tutta libanese che testimonia la particolarità della situazione nel paese dei cedri, infatti qui si aggiunge “al-taifi” che sta per comunitario-confessionale (quindi “Il popolo vuole la caduta del regime comunitario-confessionale!”).

La lunga giornata di mobilitazione, di domenica 6 marzo, si è aperta con un incontro alle 11 in una sala dell'Unesco bldg durante il quale, davanti ad una platea di qualche centinaia di persone, tra cui numerosi giornalisti e telecamere, le varie componenti del movimento hanno definito slogan e dettagli della manifestazione. I toni della discussione si sono alzati improvvisamente quando si è abordato l'argomento Hezbollah e relativa milizia, in questo momento tema molto sentito in tutto il paese. I “pro” sostengono che sia una forza necessaria di resistenza a Israele, i “contro” che le forze di Hezbollah debbano essere assorbite da quelle dell'esercito nazionale o comunque debbano essere poste sotto il controllo dello Stato perché rappresentano una minaccia per la democrazia. Il nodo è stato superato rimandando la discussione ad un secondo momento in quanto problema secondario.
Erano presenti in sala due esponenti di Amal vicini al Presidente della Camera Nabih Berri. Sono stati allontanati per evitare rischi di strumentalizzazione. Tra l'altro Lunedì 7, il giorno dopo la manifestazione, lo stesso Berri ha dichiarato di sostenere il movimento e ha invitato i simpatizzanti del suo partito, Amal (sciita), a partecipare a titolo personale alle prossime manifestazioni. La riunione si è conclusa verso le 13h30.

La manifestazione è partita da Dora (che si legge Daura) intorno alle 15 e si è diretta verso l'Electricity bldg nel quartiere di Mar Mikhayel Nahr, presidiato niente meno che da un carro blindato, dove si è conclusa poco prima delle 18. L'Electricity bldg è la sede dell'ente libanese per l'energia elettrica criticato per la sua corruzione e la sua poca trasparenza, quindi simbolo del regime confessionale.

A marciare c'erano davvero tutti/e, tutte le fasce d'età da 0 a 90 anni, molte famiglie con i bambini, alcuni molto piccoli, (questo anche ad indicare che si è trattato di una manifestazione assolutamente pacifica) e persone più anziane. C'erano le donne, donne velate e non, sunnite, sciite, cristiane, laiche, atee, ecc. C'erano figure religiose, so che ha partecipato Gregoire Haddad (87 anni), soprannominato a suo tempo “l'eveque rouge” (il vescovo rosso), religioso cristiano di rito greco-cattolico, figura molto importante anche dal punto di vista politico. E' stato il fondatore negli anni '60 del Mouvement social, associazione caritatevole di matrice cristiana impegnata sul piano sociale, ma anche su quello della laicità. C'era lo cheiyk Ali Al Sayad figura religiosa sunnita, e membro di Dar al-Fatwa (autorità religiosa sunnita), al quale ho chiesto come mai un religioso partecipasse ad una manifestazione per la laicità. Lui mi ha risposto che a causa del sistema confessionale i politici usano la religione e le divisioni religiose a proprio favore per acquisire potere ed arricchirsi tessendo reti clientelari e di corruzione, quindi lui era naturalmente contrario a quest'uso distorto della Fede.
Ovviamente c'erano gli attivisti del gruppo organizzatore, militanti della sinistra, c'erano studenti, intellettuali, ma soprattutto c'era ciò che un po' era mancato domenica 27 febbraio e cioè la gente comune. Anche i curiosi ai bordi della strada, le persone affacciate alle finestre e ai balconi che guardavano il corteo sfilare erano più propensi a sorridere e a salutare piuttosto che a fischiare o disapprovare.

Le voci circolate sul numero dei partecipanti sono state molto discordanti e sono passate da un minimo di 3.000 ad un massimo di 20.000 persone. Alcuni giornali hanno parlato di 15.000 presenze. Insomma si può ritenere che fra le 10.000 e le 15.000 persone sia un'approssimazione ragionevole. A prescindere dai numeri e dalle virgole, il dato che conta è indubitabile. C'è stata una forte partecipazione e la manifestazione è stata decisamente un successo. Anche questa volta senza bandiere di partito, ma con molte bandiere libanesi, tutti/e a cantare l'inno nazionale, all'insegna dell'unione del popolo libanese contro un sistema che lo vuole diviso. Per quanto riguarda il futuro del movimento gli organizzatori non si sbilanciano, quando ho chiesto ad Ali o ad Arabi, quale pensano sia il prossimo passo, mi hanno risposto che la gente lo deciderà, perché come spesso tengono ad affermare si tratta di un movimento spontaneo, nato da un'esigenza sentita da molti/e e sarà la “strada” a dare la direzione. Intanto alcune riunioni sono previste per i prossimi giorni. Credo che, come è stato fino ad ora, riceverò presto, su Facebook, un invito a partecipare alla prossima manifestazione perché “La gente vuole che il regime cada!”.

Ghigo Orson Galera