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giovedì 19 agosto 2010

Libano, un futuro incerto - Intervista allo storico Georges Corm, che da decenni racconta il puzzle mediorientale

12/08/2010
Libano, un futuro incerto - Intervista allo storico Georges Corm, che da decenni racconta il puzzle mediorientale

Scontro a fuoco al confine con Israele, Hezbollah nel mirino del Tribunale Internazionale per l'omicidio Hariri, un governo bloccato, le pressioni dell'Iran. Il Libano è una polveriera.
Intervista sulla situazione attuale nel Paese dei Cedri a Georges Corm, economista e storico libanese, consulente di diversi organismi internazionali e docente all'Università Saint-Joseph di Beirut, autore di diversi libri sui problemi dello sviluppo del mondo arabo, come Storia del Medio Oriente e Libano contemporaneo.

Che cosa ne pensa di quello che ha detto Nasrallah a proposito dell'assassinio di Hariri? C'è qualcosa di nuovo?
No, non per chi segue da vicino e quotidianamente quello che sta succedendo nel nostro Paese. Ma quel discorso è parte di un contrattacco che risponde a quanto dice una certa stampa negativa, e cioè che il procuratore del Tribunale Internazionale per il Libano stia indicando Hezbollah come il prossimo colpevole dell'assassinio di Hariri. Ormai è chiaro che non ci sono prove né contro la Siria né contro i quattro generali libanesi incaricati della sicurezza del Paese che sono stati scarcerati. Le accuse si erano basate sulla falsa testimonianza di testimoni che sono risultati corrotti, ed ecco perché oggi molti in Libano temono che l'accusa contro Hezbollah sia basata su false testimonianze o su una documentazione truccata, come in precedenza.
Quello che ha detto Nasrallah il 9 agosto scorso non è una novità, ma aver riunito tutte le informazioni per la prima volta è un modo per sottolineare un certo risentimento nei confronti della Commissione Internazionale d'inchiesta e del Tribunale perchè l'ipotesi di un coinvolgimento d'Israele nell'omicidio Hariri non è mai stata presa in considerazione.
Dopo tutto la questione basilare di chi può aver commesso il crimine non è mai stata sollevata.

Cosa ne pensa del Tribunale Internazionale? Ha un senso effettivo o alla fine non c'è un impegno reale per scoprire la verità?
A meno che uno non sia molto ingenuo, non è possibile non pensare che sia stato creato esclusivamente per ragioni politiche. L'assassinio di personaggi politici non è mai stato di competenza dei tribunali internazionali il cui scopo è quello di punire i crimini di guerra, genocidi o le stragi di massa su basi religiose o etniche. Politici molto più importanti di Hariri, come John Kennedy, Olof Palme, Aldo Moro sono stati assassinati e nessuno ha pensato di istituire una commissione d'inchiesta internazionale e poi un tribunale speciale per trovare e punire i colpevoli. Di recente, dopo l'assassinio di Hariri, la Signora Bhutto, ex primo ministro pakistano, è stata uccisa e nessuno si è commosso abbastanza da suggerire la creazione di un tribunale speciale. Quindi è chiaro che un tribunale speciale per il Libano con il compito di riuscire laddove la commissione d'inchiesta aveva fallito, è stata una manovra esclusivamente politica, per avere uno strumento istituzionale e legale che potesse azzittire quei libanesi pronti a protestare oppure per accusare i partiti politici libanesi ostili agli interessi occidentali.

Se il Tribunale dovesse accusare esponenti importanti di Hezbollah, può Saad Hariri continuare ad avere una relazione normale con loro?
Questo creerebbe una certa confusione e molta tensione in Libano che forse è proprio lo scopo che vorrebbe avere un'accusa del genere. Ma nessuno sta ponendo la domanda fondamentale: perché Hezbollah avrebbe voluto uccidere Hariri, in un momento in cui i rapporti tra i due sono eccellenti sin dal 1996 e anche dopo la risoluzione 1559 dell'Onu che richiedeva alla Siria di spostare il suo esercito fuori dal Libano e al Governo libanese il disarmo di tutti i gruppi armati presenti in Libano.

Qual è oggi il ruolo della Siria in Libano? E qual è il ruolo dell'Iran?
Sembra che abbiano lo stesso ruolo che avevano prima: evitare che il Libano diventi un vicino ostile o un vicino il cui territorio è sfruttato da altri per destabilizzare il regime siriano o per attaccare la Siria attraverso la valle della Bekaa che rende molto facile l'accesso alla capitale Damasco. Ecco perché il supporto a Hezbollah e alle sue truppe in Libano serve per prevenire un eventuale attacco israeliano contro la Siria.
Per quanto riguarda l'Iran, il suo ruolo non è cambiato dalla rivoluzione del 1979 cioè continua a dare un supporto armato di resistenza contro un'eventuale occupazione israeliana dei territori libanesi e palestinesi. Questo è un elemento cruciale dell'ideologia del regime che ha ereditato tutti i discorsi precedenti anti-imperialistici dei partiti locali marxisti e dell'Unione sovietica, e ha islamizzato il suo vocabolario perché sembrasse più familiare agli abitanti della regione. L'Iran rifornisce Hezbollah con le sue armi e ha esteso il suo aiuto per la ricostruzione dopo la guerra d'Israele contro Hezbollah e il Libano nel 2006, senza nessun costo per lo stato libanese.
Ma se parliamo dell'influenza politica iraniana in Libano, non dimentichiamo che fa da contrappeso all'influenza molto maggiore saudita e occidentale, quindi potrebbe essere considerata un elemento di equilibrio. Un disegno politico saggio si preoccupa che il Libano, situato in una posizione strategica, non cada sotto l'influenza esclusiva di uno dei maggiori poteri internazionali o regionali.

Qual è, secondo lei, il vero piano di Assad? Ha contatti con gli Stati Uniti e con l'Arabia saudita, ma anche dimostra una forte relazione con Teheran.
Come aveva fatto anche Assad padre, il vero piano del regime siriano sotto l'attuale presidenza di Bashir Assad, è creare un sistema di equilibri nella regione in modo tale che i regimi arabi a favore dell'Occidente e gli Stati Uniti e Israele non possano dominare la regione. Questa politica ha, con successo, fatto diventare la Siria un'inevitabile forza della regione che non può essere ignorata dagli altri paesi. L'alleanza con l'Iran è parte di questa politica tradizionale, che si è perfezionata con una nuova alleanza con la Turchia, sempre più coinvolta nelle questioni mediorientali. E' proprio questa politica siriana che George W. Bush e Condoleezza Rice hanno cercato di sradicare per realizzare il loro sogno inconsistente di un nuovo Medio Oriente, cioè attraverso il passaggio iracheno e libanese. Hanno fallito nel loro scopo, ma la loro politica ha procurato alla regione molte sofferenze e una destabilizzazione maggiore.

Come vede il futuro? E' possibile trovare un nuovo equilibrio senza una guerra?
Il futuro rimarrà desolante fintanto che le ambizioni e la feroce politica israeliana contro i diritti legittimi dei palestinesi e dei libanesi non saranno tenuti sotto controllo dai poteri occidentali che danno il loro cieco supporto ad Israele. Oltretutto il modo in cui l'Iran è stato criticato e denunciato, assomiglia troppo all'atteggiamento che l'Occidente ha avuto nei confronti dell'Iraq sotto Saddam Hussein. Spero che non vengano ripetuti gli stessi errori, questa volta nei confronti dell'Iran.
La paranoia occidentale è responsabile di molta parte dell'instabilità e della violenza che affligge questa parte della regione. Recentemente questa paranoia è stata espressa egregiamente da José Maria Aznar, l'ex primo ministro conservatore spagnolo, in un suo articolo sul Times londinese del 17 giugno ha scritto che se la supremazia occidentale e d'Israele continua ad essere contestata, allora l'esistenza dell'Occidente sarà in pericolo.
Tra ragione e passione geo-politica dove andrà il Medio Oriente? Non so come rispondere, ma spero che la ragione prevarrà e che l'Occidente smetta di usare due pesi e due misure nell'applicare le leggi internazionali o nell'ignorare le leggi internazionali e umanitarie, a seconda dei loro interessi geopolitici e il loro amore appassionato o il loro odio per questo o quel governo.

ha collaborato Laura Passetti

Christian Elia

Peacereporter - http://it.peacereporter.net/articolo/23574/Libano%2C+un+futuro+incerto

giovedì 3 giugno 2010

Moni Ovadia: “Questa classe politica stupida, reazionaria e feroce porterà Israele alla catastrofe”

Dopo l'assalto alla Freedom Flotilla

Moni Ovadia: “Questa classe politica stupida, reazionaria e feroce porterà Israele alla catastrofe” (AUDIO)

Moni Ovadia: "Quando si trasforma un'identità spirituale ed etica in un'identità nazional religiosa, anche se non si è fascisti se ne assumono i comportamenti. E' il destino di chi diventa nazionalista, non riconosce più l'umanità dell'altro e perde la propria anima".



da MicroMega (1 giugno 2010)

sabato 13 marzo 2010

Il campo della pace israeliano non è morto. Piuttosto non è mai nato.

Martedì 09 Marzo 2010 09:25 Gideon Levy

Haaretz, 7 marzo 2010

Il campo della pace israeliano non è morto. Piuttosto non è mai nato. Anche se è vero che dall’estate del 1967 vari gruppi politici radicali e coraggiosi si sono impegnati contro l’occupazione – tutti degni di stima – qui non è mai esistito un ampio, influente campo della pace.

E’ vero, dopo la guerra di Yom Kippur, dopo la prima guerra del Libano e durante i vertiginosi giorni di Oslo (oh, che giorni da capogiro), i cittadini sono scesi in strada, di solito quando era bel tempo e quando alle manifestazioni si suonava il meglio della musica israeliana, ma pochi dicevano qualcosa di decisivo o di coraggioso e ancora meno erano quelli pronti a pagare di persona per le loro attività. Dopo l’assassinio del Primo ministro Yitzak Rabin la gente accendeva candele in piazza e cantava canzoni Aviv Geffen, ma certo non si poteva parlare di un vero e proprio campo della pace.

È altresì vero che quella assunta dal cosiddetto movimento Matzpen subito dopo la guerra dei sei giorni è ormai diventata la posizione israeliana condivisa, ma sono solo parole, prive di contenuto. Niente di significativo è stato fatto sinora per metterla in pratica. Ci si sarebbe aspettati di più, molto di più, da una società democratica che ha dietro casa una così lunga e crudele occupazione e il cui governo ha soprattutto usato il linguaggio della paura, delle minacce, della violenza. In passato sono esistite società nel cui nome sono state commesse ingiustizie spaventose, ma almeno in alcune si sono avute genuine proteste di sinistra, arrabbiate e determinate, di quelle che implicano rischio e coraggio e non si limitano ad azioni all’interno del comodo consenso. Una società occupante le cui piazze sono state vuote per anni, eccezion fatta per vacui raduni commemorativi e proteste con scarsa partecipazione, non può lavarsene le mani. Né lo possono la pace e la democrazia.

Il fatto che non sia scesa in piazza una gran quantità di gente durante l’operazione israeliana Cast Lead a Gaza, dimostra che non esiste un campo della pace. Se la gente non si riversa nelle strade adesso – quando i pericoli sono in agguato e si perdono continuamente le occasioni e la democrazia riceve colpi su colpi ogni giorno e non ci sono risorse sufficienti per difenderla e la destra controlla la scena politica e i coloni accumulano sempre più potere – vuol dire che non esiste una vera sinistra.

Non c’è niente che faccia capire il triste stato della sinistra come il dibattito sul futuro del partito Meretz. È della settimana scorsa la strana e ridicola relazione sul mediocre risultato del partito nelle ultime elezioni. Il Meretz è scomparso perché ha perso la parola; non c’è bisogno di una commissione per scoprirlo. Ma anche nei suoi giorni migliori il Meretz non era un vero campo della pace. Quando plaudeva a Oslo, ignorava deliberatamente il fatto che i campioni degli “storici” accordi di pace non avevano mai pensato di evacuare anche un solo insediamento nel corso della grande “conquista” che valse ai suoi promotori il premio Nobel per la pace, sì, per la pace. Coloro che militavano da questa parte trascuravano anche le violazioni degli accordi perpetrate da Israele, la sua pace ingannevole.

Comunque, il problema affondava le sue radici soprattutto nell’impossibile adesione della sinistra al sionismo nel senso storico. Proprio come non può esserci uno Stato democratico ed ebraico a un tempo, occorre stabilire anzitutto che cosa viene prima – non può esserci una sinistra che condivida le posizioni del sionismo ormai superato, che ha costruito lo Stato ma ne ha guidato il corso. Questa illusoria sinistra non è mai riuscita a capire sino in fondo il problema palestinese – creato nel 1948, non nel 1967 – poiché non si rende conto che esso non può essere risolto ignorando l’ingiustizia fatta sin dall’inizio.

La sinistra illusoria non ha mai capito il punto più importante: per i palestinesi, accettare i confini del 1967 insieme a una soluzione del problema dei rifugiati, che comprenda il ritorno di almeno un numero simbolico di questi, sono concessioni penose. Essi rappresentano anche il solo giusto compromesso, senza il quale non sarà possibile arrivare a una soluzione pacifica; ma è insensato accusare i palestinesi di perdere un’occasione. Una proposta siffatta, anche considerando quelle “di vasta portata” di Ehud Barak e Ehud Olmert, non gli è mai stata fatta.

Il Meretz troverà certamente un qualche accordo organizzativo e tornerà ad avere una mezza dozzina di membri elettei alla Knesset, un giorno particolarmente fortunato ne avrà forse una dozzina. Ma questo non è molto. Gli altri gruppi di sinistra, sia ebrei sia arabi, restano esclusi. Nessuno sa che farsene, nessuno pensa ad accoglierli, e sono troppo piccoli per esercitare qualsiasi influenza. Non resta che dire pane al pane: Il campo della pace israeliano è ancora un bambino non nato.

Testo inglese in http://www.haaretz.com/hasen/spages/1154539.html - traduzione di Marilla Boffito

Una volta la giustizia abitava a Gerusalemme, adesso la fanno i coloni

Una volta la giustizia abitava a Gerusalemme, adesso la fanno i coloni

di Avraham Brug

da Haaretz del 07/03/2010 (http://www.haaretz.com/hasen/spages/1154537.html)

La più grande, unificata Gerusalemme è stata fatta a pezzi. La capitale israeliana – ebrea e araba – è diventata la capitale di pericolosi e allucinati fanatici. Questa non è la città di tutti i suoi abitanti, né la capitale di tutti i suoi cittadini. È una città triste che appartiene ai suoi coloni, ai suoi Ultra-Ortodossi, ai suoi abitanti violenti e ai suoi messia.

Il profeta ha chiesto: “Come ha fatto la città della fede a diventare una meretrice! Lei che era abitata dalla giustizia, e adesso dagli assassini!” (Isaiah 1:21). Qui ancora non ci sono stati omicidi, ma l’anima della nazione sta morendo ogni giorno davanti ai nostri occhi. Lo spirito israeliano della giustizia è stato calpestato da politici, coloni e giudici. L’anima della nazione è stata assassinata con gli eccessi di burocrazia e l’indifferenza.

Sì, la capitale del popolo ebraico – quel popolo che ha sempre giurato di non fare agli altri ciò che non avrebbe voluto facessero a lui - è diventata una meretrice. Moralmente lasciva, emotivamente svenduta. È manipolata dai suoi pastori per i loro stessi benefici ed è piena di leggi – tutti fanno causa a tutti, nascondendosi dietro il diritto dell’ingiustizia. E i giudici – come se fossero costretti – emettono sentenze in conformità con leggi discriminatorie, unicamente per il “popolo eletto”. Una volta la giustizia abitava qui. Adesso la fanno i coloni, assassini dell’anima della nazione.

E nessuno dice una parola, eccetto pochi patrioti. Il popolo della verità e della morale, che si rifiuta di stare a guardare mentre lo Stato dei rifugiati ebrei ripetutamente getta famiglie palestinesi sulla strada e consegna le loro povere case a delinquenti barbuti e bestemmiatori.

Queste persone integre sono la sinistra di Gerusalemme, che è passata attraverso innumerevoli scontri con la folle “sindrome di Gerusalemme”. Conoscono fin troppo bene la minacciosa verità della città, i suoi terribili adolescenti, e non si volteranno più dall’altra parte. Si sono impegnati a fermare con i loro corpi gli energumeni tedofori che cercano di appicare il fuoco.

Al momento, nessuno guida la città, né la salvezza per lei arriverà dal leader eletto del paese. Il caso di Sheikh Jarrah è oltre la conoscenza del sindaco Nir Barkat e del primo ministro Benjamin Netanyauh, come se le agitazioni non fossero affare loro, come se stessero accadendo in Sudan o a Teheran. E in mancanza di una leadership dello Stato, e di una coalizione per la pace, i nostri figli se ne sono assunti la responsabilità, scrollandosi via di dosso l’indifferenza e la disperazione, e ci hanno portati qui. Il cerchio si sta allargando, ed è pieno di vita, rabbia e speranza. L’umanesimo israeliano è rinato a Gerusalemme Est.

Stiamo lì con la calura estiva e sotto la pioggia invernale, urlando e invitando gli altri a raccogliersi intorno a noi, alla ricerca sia dello Shabbat che della pace. Non retrocederemo davanti ad ufficiali di polizia violenti o a molestatori e teste calde. Noi restiamo lì e promettiamo: non rimarremo in silenzio quando Ahmad e Aysha saranno costretti a dormire per strada, fuori dalla propria casa, diventata di dominio dei coloni. È giustizia questa? Non la nostra! No, questa è iniquità.

Gerusalemme si sta svuotando più velocemente di qualsiasi altra città al mondo. In un primo momento l’hanno lasciata i suoi facoltosi residenti, in seguito i suoi cittadini moderati hanno abbandonato la nave, seguiti dai laici e dai giovani. Molto presto non ci sarà più nessuno da lasciare lì a vivere, e la città resterà completamente sola. Le fonti di luce sono state estinte, offuscate da raggi di oscurità.

Per quanto tempo, signor Primo Ministro e signor Sindaco? E perché voi, giudici di Israele, collaborate con il diavolo che minaccia di distruggerci? Venite con noi, tornate al giudaismo del “Non rubare” e “Non uccidere”. Lasciate Sheikh Jarrah ora!

(Traduzione in italiano di Cecilia Dalla Negra)

giovedì 4 febbraio 2010

Documentario sull'operazione Piombo Fuso a Gaza "To shoot an elephant"



"To shoot an elephant" is an eye witness account from The Gaza Strip. December 27th, 2008, Operation Cast Lead. 21 days shooting elephants. Urgent, insomniac, dirty, shuddering images from the only foreigners who decided and managed to stay embedded inside Gaza strip ambulances, with Palestinian civilians.