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giovedì 19 agosto 2010

Il Libano di fronte a se stesso - Intervista a Geroges Corm, intellettuale libanese, che racconta il Paese dei Cedri tra passato e futuro

24/06/2009

Intervista a Georges Corm, economista e storico libanese, consulente di diversi organismi internazionali e docente all'Università Saint-Joseph di Beirut, autore di diversi libri sui problemi dello sviluppo del mondo arabo, come Storia del Medio Oriente e Libano contemporaneo

scritto per noi da
Francesca Borri

La Linea Verde già nessuno sostiene di ricordare dove e cosa sia. Ma perché in realtà, Beirut gli è come implosa dentro. Guerriglieri indistinguibili dai civili pattugliano le strade delle periferie sciite, poi un centro in via di ricostruzione, lo chiamano DownTown, e guardie private in kalashnikov a presidiare gli Armani e Ferragamo, e il culto pagano di Rafiq Hariri opposto a quello di Hassan Nasrallah. Dieci anni indiscussi da primo ministro, il suo mausoleo è la sintesi della Beirut che ha voluto, una tenda accanto alla moschea, per prato una moquette e margherite di plastica.
Il Libano è una di quelle volte che l'atlante inganna. Dicono Medio Oriente, in realtà è nei Balcani. E poi però, Georges Corm e, improvviso, il Mediterraneo che torna, leggero e potente, "luogo di mezzo che si interroga sulla relazione, in quella risacca che lascia su ogni sponda il segno dell'altro", il Mediterraneo che è metafora, e non geografia.

Chi era Rafiq Hariri?
Una figura tipica degli anni Novanta, ma non solo in Libano: il magnate della finanza internazionale, le origini della cui ricchezza non sono mai state chiarite. Negli anni della guerra civile (1975 - 1990) era l'uomo d'affari di fiducia del futuro re dell'Arabia Saudita: i libanesi, allo stremo, avevano bisogno di denaro, e lui era lì, provvidenziale, con una liquidità inesauribile. Ha comprato di tutto. Poi si è dedicato anche ad attività benefiche, in particolare borse di studio: ed è diventato il salvatore. Sunnita, sostenuto incondizionatamente dall'Arabia Saudita, dunque dagli Stati Uniti, Hariri aveva accesso immediato presso i potenti del mondo, Vaticano incluso, ed era anche molto vicino alla Francia perché amico di Chirac. Era perfetto per affascinare la borghesia cristiana, privata dalla guerra del suo antico potere: un musulmano moderato filo-occidentale, con idee liberali in economia: si pensava che avrebbe arginato l'influenza sciita, Hezbollah in particolare, e che avrebbe spazzato via ogni forma di nazionalismo arabo. Era l'uomo del capitalismo. Ma la sua nuova repubblica non ha affatto ristabilito l'intesa nazionale: dominata da un ristretto gruppo di azionisti, è stata invece la repubblica degli scandali finanziari e della corruzione ostentata. Speculazioni monetarie, aumenti artificiali dei costi di ricostruzione, opere pubbliche sovradimensionate. Ma anche la raccolta dei rifiuti, il contrabbando dai confini siriani, un cartello nell'importazione di petrolio e gasolio, l'arbitrio nel pagamento delle indennità ai rifugiati, le concessioni pubbliche attribuite senza asta, il monopolio dei media e soprattutto tassi altissimi sui buoni del Tesoro, emessi in numero superiore alle necessità dello stato per consentire il più facile degli arricchimenti. Eppure nessuno ha opposto una reale resistenza. Perché la guerra non ha lasciato che un vuoto di idee e valori.

Ma che Libano immaginava?
Una riedizione del vecchio sogno della borghesia cristiana del commercio, una specie di Montecarlo del Medio Oriente. Come Paese tradizionalmente addetto ai servizi, il Libano non poteva certo rimanere ai margini della riorganizzazione economica regionale prospettata da americani e israeliani nel solco del processo di Oslo: nel nome adesso del più ferreo neoliberismo, quello secondo cui lo stato e l'azione collettiva non sono che forme di distorsione e spreco. Arricchirsi, è stata questa l'ideologia della ricostruzione, e questa è ancora, senza la minima nozione di bene pubblico. Le ferite della guerra sembrano curabili solo attraverso il successo individuale negli affari, a immagine e somiglianza di Rafiq Hariri, l'uomo partito dal nulla. E l'icona di tutto questo è la ricostruzione di Beirut, mediante l'appello ai capitali privati della penisola arabica e una società che si è appropriata illegalmente del patrimonio di migliaia di cittadini: in un genocidio architettonico e culturale che ha travolto l'aspetto da casbah della Beirut storica, della Beirut mediterranea. L'obiettivo è la centralità del centro di Beirut, senza alcuna inclusione delle periferie e senza alcuna riorganizzazione complessiva del paese. Ma in passato Beirut aveva potuto proporsi nel ruolo di piazza commerciale e bancaria solo a causa del ritardo di cui soffriva la regione sul piano delle infrastrutture. Oggi la morfologia del Medio Oriente è profondamente diversa. Un progetto simile non è dunque che una rimozione e negazione della realtà: e soprattutto, della realtà di una popolazione devastata dalla guerra, con necessità e priorità radicalmente altre. Mentre il Libano continua a essere moneta di scambio geopolitico, la nuova élite non è animata che da un desiderio di denaro. Dallas-sur-Mer: potrebbe essere questo il nome attuale di una Beirut in cui si intrecciano tradizionali rivalità tra famiglie e violenti scontri finanziari. Quanto ai libanesi, sono solo comparse. Tassisti, camerieri, guardie private.

Sull'assassinio di Hariri giudica oggi un tribunale speciale delle Nazioni Unite, perché non c'è pace si dice, senza giustizia. Secondo Cesare Beccaria, però, era importante non tanto la severità, quanto l'infallibilità della pena: dopo una guerra da 150mila vittime, giustizia per un uomo solo.
Intanto questo tribunale arriva da una duplice violazione della costituzione libanese. Perché non è stato chiesto da tutte le forze politiche all'unanimità, e i ministri sciiti in opposizione hanno lasciato il governo - che invece deve includere tutte le confessioni. Invece non solo il governo residuo non ha rassegnato le dimissioni, ma ha accettato l'istituzione del tribunale, che tecnicamente avveniva mediante un trattato internazionale, senza la necessaria ratifica del presidente della Repubblica. Alla fine, dopo mesi di paralisi, il tribunale è entrato in vigore con un intervento del Consiglio di Sicurezza ai sensi del capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che consente misure coercitive a fronte di una minaccia alla pace - prima ancora che la commissione di inchiesta avesse presentato le proprie conclusioni. Ma la vera peculiarità di questo tribunale è la sua competenza: un omicidio, invece che crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Da libanese, io non posso che volere un tribunale per tutti i crimini compiuti. 150mila persone sono state uccise dalle varie milizie, 18mila sono scomparse nel nulla. Per non parlare di Israele e delle sue aggressioni. E anche se sono crimini che non entrano in prescrizione, nessuno ha mai proposto un tribunale internazionale. Hariri non è stato né il primo né l'ultimo a rimanere ucciso in un attentato, né in Libano né altrove. Certo i tempi sono cambiati, la giustizia penale internazionale conosce oggi una straordinaria espansione. Ma esattamente negli anni in cui si istituiva un tribunale per la Jugoslavia, e poi per il Ruanda, qui si approvava una amnistia. Non è solo questione di tempi che cambiano. Questi tribunali sono interventi politici, non semplicemente giudiziari. All'epoca, in tanti abbiamo chiesto una commissione di verità e riconciliazione sul modello del Sudafrica. Ma è stato inutile.

Ieri cristiani contro musulmani. Oggi filo-occidentali contro filo-siriani. Le semplificazioni in bianco e nero sono spesso 'fratture immaginarie', per riprendere il titolo del suo libro su Oriente e Occidente. Un tribunale, che con le sue sentenze separa in innocenti e colpevoli, non contribuisce a queste logiche?
Ormai i media internazionali classificano i libanesi in due campi a tenuta stagna: gli anti-siriani, gli alleati democratici dell'Occidente guidati essenzialmente dalla famiglia Hariri, e i pro-siriani, e dunque pro-iraniani, che minano il futuro. Il vostro Libano è un ritratto in bianco e nero: ogni sfumatura è sospettata di sostegno al terrorismo. Le commissioni di inchiesta che hanno preceduto il tribunale, e che oggi hanno già tutti dimenticato, sono state estremamente significative. La prima, presieduta dal tedesco Mehlis, dopo un solo mese di indagini ha consegnato un rapporto a senso unico, sulla base di testimonianze che poi si sono rivelate infondate. Si accusava la Siria, insieme agli apparati di sicurezza libanesi, di avere creato l'atmosfera in cui è maturato l'assassinio. Era un rapporto del tutto impermeabile alla complessità di questo Paese: divideva il Libano in democratici e terroristi, come se i ferrei anti-siriani di adesso non abbiano avuto in passato relazioni molto strette con la Siria - Hariri incluso. E così si è arrivati all'arresto di quattro alti ufficiali dei servizi di sicurezza, senza mezzo contraddittorio con gli accusatori. E il Paese è tornato nell'anarchia. Poi è arrivato il belga Brammertz, e le indagini hanno riacquisito credibilità, ma comunque il tribunale è stato istituito quando ancora non si aveva un'accusa ufficiale contro qualcuno. La sua prima decisione, la scarcerazione degli ufficiali, è stata ineccepibile. Ma niente garantisce che l'intossicazione politica non si ripeta. Chi e come elaborerà i fascicoli alla base del lavoro dei giudici?

Secondo Danilo Zolo, l'obiettivo di questi tribunali non può che ridursi all'esemplarità della pena, in un regresso al medioevo, alle cerimonie collettive di stigmatizzazione del nemico. Carla del Ponte ha intitolato le sue memorie La Caccia. Eppure Hezbollah ha accettato democraticamente una sconfitta elettorale inattesa.
Hezbollah è considerato un gruppo terroristico che attacca Israele senza alcuna giustificazione, e che Israele ha dunque il diritto di sradicare. Le vittime civili, qui, non sarebbero dovute che alla codardia di Hezbollah, che terrebbe i libanesi in ostaggio in forma di scudi umani. E che sarebbe parte di quella nebulosa jihadista animata da Bin Laden, un fascismo islamico incompatibile con i più elementari diritti della persona. Ma Hezbollah, più semplicemente, è un movimento di resistenza. Ha condotto una guerriglia implacabile contro ventidue anni di occupazione, fino a quella vittoria che nessun esercito arabo aveva saputo ottenere. Ed è molto efficiente anche nell'azione di governo, come Hamas. Hezbollah non è affatto telecomandata da Damasco o Teheran: da anni, ormai, è completamente inserita nella politica nazionale, forte di consenso e fiducia. La realtà è che siamo davanti a nient'altro che la forma contemporanea dei movimenti di liberazione degli anni della decolonizzazione. Movimenti ampiamente sostenuti dai sovietici e da Nasser, senza che questo scalfisse minimamente l'autenticità della sollevazione popolare, né la sua legittimità. E quanto all'intonazione religiosa, non è che speculare in fondo a quella di Israele, che si definisce uno stato ebraico - con il sostegno di un Occidente che si propone adesso come erede dei valori giudeo-cristiani: un abisso, rispetto al vecchio richiamo alle radici greco-romane. E cioè radici fondamentalmente pagane, panteiste, politeiste: l'istituzionalizzazione del pluralismo, la contaminazione tra divinità e culture, non la loro reciproca esclusione. Non l'autismo di una visione monolitica della salvezza, al di fuori della quale non rimangono che tenebre, e dunque l'intolleranza e la violenza. Non il mondo delle terre promesse, dei profeti degli eletti, ma il ragionamento logico, il dialogo socratico.

La via per la stabilità del Libano passa per l'attuazione della Risoluzione 1559 sul disarmo di Hezbollah?
Anche qui - nessuno insiste mai sull'attuazione delle risoluzioni che riguardano Israele, a partire dal ritiro dai territori occupati e il ritorno dei rifugiati palestinesi. L'Iraq ha subito un embargo criminale, che ha falciato decine di migliaia di bambini, per non avere rispettato le risoluzioni delle Nazioni Unite. Ed è stato brutalmente punito per la sua invasione del Kuwait. Perché non anche Israele per le sue ripetute aggressioni? Come per il nucleare - si discute solo dell'atomica iraniana. Eppure continuate a non percepire l'impatto destabilizzante di questa vostra costante strumentalizzazione del diritto internazionale. L'attuale crisi libanese ha due dimensioni. La prima è interna, e contrariamente a quanto si crede taglia trasversalmente le comunità: perché abbiamo gli stessi governanti dal 1990, cristallizzati intorno a Rafiq Hariri e oggi suo figlio Saad: e cittadini di tutte le confessioni e classi sociali rivendicano invece un Libano non più gestito come un'impresa privata. La seconda dimensione è il conflitto con Israele: e coinvolge quanti non intendono affidare la difesa e resistenza all'esercito libanese o all'Unifil. I caschi blu sono qui in missione temporanea da trent'anni: nelle università si insegna che il loro obiettivo è congelare un conflitto: Unifil non ha ottenuto neppure questo, Israele ha continuato ad attaccare. La via per la stabilità è la soluzione della questione palestinese. Anche se la verità è che il Libano non potrà mai emanciparsi con questo sistema comunitario che invade ogni spazio pubblico, e le varie confessioni facile preda di potenze straniere. Siamo da sempre uno stato a sovranità condizionata. Solo per un breve momento, con l'indipendenza, abbiamo saputo essere un crocevia di scambio e dialogo, né Oriente né Occidente. Il sistema comunitario ha genetica totalitaria, richiede identità e fedeltà assolute. La stabilità passa attraverso la sua eliminazione. Ma nella forma attuale di occidentalizzazione del mondo, la globalizzazione non fa che rafforzarlo, generando chiusura e difesa.


Peacereporter - http://it.peacereporter.net/articolo/16347/Il+Libano+di+fronte+a+se+stesso

Libano, un futuro incerto - Intervista allo storico Georges Corm, che da decenni racconta il puzzle mediorientale

12/08/2010
Libano, un futuro incerto - Intervista allo storico Georges Corm, che da decenni racconta il puzzle mediorientale

Scontro a fuoco al confine con Israele, Hezbollah nel mirino del Tribunale Internazionale per l'omicidio Hariri, un governo bloccato, le pressioni dell'Iran. Il Libano è una polveriera.
Intervista sulla situazione attuale nel Paese dei Cedri a Georges Corm, economista e storico libanese, consulente di diversi organismi internazionali e docente all'Università Saint-Joseph di Beirut, autore di diversi libri sui problemi dello sviluppo del mondo arabo, come Storia del Medio Oriente e Libano contemporaneo.

Che cosa ne pensa di quello che ha detto Nasrallah a proposito dell'assassinio di Hariri? C'è qualcosa di nuovo?
No, non per chi segue da vicino e quotidianamente quello che sta succedendo nel nostro Paese. Ma quel discorso è parte di un contrattacco che risponde a quanto dice una certa stampa negativa, e cioè che il procuratore del Tribunale Internazionale per il Libano stia indicando Hezbollah come il prossimo colpevole dell'assassinio di Hariri. Ormai è chiaro che non ci sono prove né contro la Siria né contro i quattro generali libanesi incaricati della sicurezza del Paese che sono stati scarcerati. Le accuse si erano basate sulla falsa testimonianza di testimoni che sono risultati corrotti, ed ecco perché oggi molti in Libano temono che l'accusa contro Hezbollah sia basata su false testimonianze o su una documentazione truccata, come in precedenza.
Quello che ha detto Nasrallah il 9 agosto scorso non è una novità, ma aver riunito tutte le informazioni per la prima volta è un modo per sottolineare un certo risentimento nei confronti della Commissione Internazionale d'inchiesta e del Tribunale perchè l'ipotesi di un coinvolgimento d'Israele nell'omicidio Hariri non è mai stata presa in considerazione.
Dopo tutto la questione basilare di chi può aver commesso il crimine non è mai stata sollevata.

Cosa ne pensa del Tribunale Internazionale? Ha un senso effettivo o alla fine non c'è un impegno reale per scoprire la verità?
A meno che uno non sia molto ingenuo, non è possibile non pensare che sia stato creato esclusivamente per ragioni politiche. L'assassinio di personaggi politici non è mai stato di competenza dei tribunali internazionali il cui scopo è quello di punire i crimini di guerra, genocidi o le stragi di massa su basi religiose o etniche. Politici molto più importanti di Hariri, come John Kennedy, Olof Palme, Aldo Moro sono stati assassinati e nessuno ha pensato di istituire una commissione d'inchiesta internazionale e poi un tribunale speciale per trovare e punire i colpevoli. Di recente, dopo l'assassinio di Hariri, la Signora Bhutto, ex primo ministro pakistano, è stata uccisa e nessuno si è commosso abbastanza da suggerire la creazione di un tribunale speciale. Quindi è chiaro che un tribunale speciale per il Libano con il compito di riuscire laddove la commissione d'inchiesta aveva fallito, è stata una manovra esclusivamente politica, per avere uno strumento istituzionale e legale che potesse azzittire quei libanesi pronti a protestare oppure per accusare i partiti politici libanesi ostili agli interessi occidentali.

Se il Tribunale dovesse accusare esponenti importanti di Hezbollah, può Saad Hariri continuare ad avere una relazione normale con loro?
Questo creerebbe una certa confusione e molta tensione in Libano che forse è proprio lo scopo che vorrebbe avere un'accusa del genere. Ma nessuno sta ponendo la domanda fondamentale: perché Hezbollah avrebbe voluto uccidere Hariri, in un momento in cui i rapporti tra i due sono eccellenti sin dal 1996 e anche dopo la risoluzione 1559 dell'Onu che richiedeva alla Siria di spostare il suo esercito fuori dal Libano e al Governo libanese il disarmo di tutti i gruppi armati presenti in Libano.

Qual è oggi il ruolo della Siria in Libano? E qual è il ruolo dell'Iran?
Sembra che abbiano lo stesso ruolo che avevano prima: evitare che il Libano diventi un vicino ostile o un vicino il cui territorio è sfruttato da altri per destabilizzare il regime siriano o per attaccare la Siria attraverso la valle della Bekaa che rende molto facile l'accesso alla capitale Damasco. Ecco perché il supporto a Hezbollah e alle sue truppe in Libano serve per prevenire un eventuale attacco israeliano contro la Siria.
Per quanto riguarda l'Iran, il suo ruolo non è cambiato dalla rivoluzione del 1979 cioè continua a dare un supporto armato di resistenza contro un'eventuale occupazione israeliana dei territori libanesi e palestinesi. Questo è un elemento cruciale dell'ideologia del regime che ha ereditato tutti i discorsi precedenti anti-imperialistici dei partiti locali marxisti e dell'Unione sovietica, e ha islamizzato il suo vocabolario perché sembrasse più familiare agli abitanti della regione. L'Iran rifornisce Hezbollah con le sue armi e ha esteso il suo aiuto per la ricostruzione dopo la guerra d'Israele contro Hezbollah e il Libano nel 2006, senza nessun costo per lo stato libanese.
Ma se parliamo dell'influenza politica iraniana in Libano, non dimentichiamo che fa da contrappeso all'influenza molto maggiore saudita e occidentale, quindi potrebbe essere considerata un elemento di equilibrio. Un disegno politico saggio si preoccupa che il Libano, situato in una posizione strategica, non cada sotto l'influenza esclusiva di uno dei maggiori poteri internazionali o regionali.

Qual è, secondo lei, il vero piano di Assad? Ha contatti con gli Stati Uniti e con l'Arabia saudita, ma anche dimostra una forte relazione con Teheran.
Come aveva fatto anche Assad padre, il vero piano del regime siriano sotto l'attuale presidenza di Bashir Assad, è creare un sistema di equilibri nella regione in modo tale che i regimi arabi a favore dell'Occidente e gli Stati Uniti e Israele non possano dominare la regione. Questa politica ha, con successo, fatto diventare la Siria un'inevitabile forza della regione che non può essere ignorata dagli altri paesi. L'alleanza con l'Iran è parte di questa politica tradizionale, che si è perfezionata con una nuova alleanza con la Turchia, sempre più coinvolta nelle questioni mediorientali. E' proprio questa politica siriana che George W. Bush e Condoleezza Rice hanno cercato di sradicare per realizzare il loro sogno inconsistente di un nuovo Medio Oriente, cioè attraverso il passaggio iracheno e libanese. Hanno fallito nel loro scopo, ma la loro politica ha procurato alla regione molte sofferenze e una destabilizzazione maggiore.

Come vede il futuro? E' possibile trovare un nuovo equilibrio senza una guerra?
Il futuro rimarrà desolante fintanto che le ambizioni e la feroce politica israeliana contro i diritti legittimi dei palestinesi e dei libanesi non saranno tenuti sotto controllo dai poteri occidentali che danno il loro cieco supporto ad Israele. Oltretutto il modo in cui l'Iran è stato criticato e denunciato, assomiglia troppo all'atteggiamento che l'Occidente ha avuto nei confronti dell'Iraq sotto Saddam Hussein. Spero che non vengano ripetuti gli stessi errori, questa volta nei confronti dell'Iran.
La paranoia occidentale è responsabile di molta parte dell'instabilità e della violenza che affligge questa parte della regione. Recentemente questa paranoia è stata espressa egregiamente da José Maria Aznar, l'ex primo ministro conservatore spagnolo, in un suo articolo sul Times londinese del 17 giugno ha scritto che se la supremazia occidentale e d'Israele continua ad essere contestata, allora l'esistenza dell'Occidente sarà in pericolo.
Tra ragione e passione geo-politica dove andrà il Medio Oriente? Non so come rispondere, ma spero che la ragione prevarrà e che l'Occidente smetta di usare due pesi e due misure nell'applicare le leggi internazionali o nell'ignorare le leggi internazionali e umanitarie, a seconda dei loro interessi geopolitici e il loro amore appassionato o il loro odio per questo o quel governo.

ha collaborato Laura Passetti

Christian Elia

Peacereporter - http://it.peacereporter.net/articolo/23574/Libano%2C+un+futuro+incerto