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venerdì 3 settembre 2010

Caso De Magistris - indagini "Why not" e "Poseidone"



Le inchieste “Why Not” e “Poseidone” furono sottratte illegalmente a Luigi De Magistris, nel 2007, quando era ancora un pm della procura di Catanzaro: è questa la tesi della procura di Salerno che, dopo aver chiuso le indagini, ha chiesto il rinvio a giudizio di tre magistrati calabresi, del parlamentare del Pdl Giancarlo Pittelli, dell’ex sottosegretario alle Attività produttive Pino Galati (Udc) e dell’uomo forte di Comunione e liberazione in Calabria, Antonio Saladino. Le prime risposte giudiziarie sul “caso De Magistris” arriveranno il 3 novembre, quando il gip Vincenzo Pellegrino deciderà sulle richieste dei tre pm (Rocco Alfano, Maria Chiara Minerva e Antonio Cantarella) che hanno “ereditato” l’inchiesta dai pm Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, poi puniti, con il trasferimento, dal Csm.

Chiesta l’archiviazione invece – secondo il Mattino, che per primo ha pubblicato, ieri, la notizia – per altri quattro magistrati – Enzo Iannelli, Alfredo Garbati, Domenico de Lorenzo e Salvatore Curcio – indagati per favoreggiamento e omissione in atti d’ufficio: s’erano rifiutati di trasmettere gli atti di Poseidone e Why Not ai pm salernitani (Nuzzi e Verasani) che stavano indagando sulla sottrazione dei fascicoli a De Magistris. Un rifiuto che sfociò, prima, nel sequestro degli atti, operato dai pm salernitani. E portò poi, proprio a causa del sequestro, alla punizione di Nuzzi, Verasani e del loro capo Luigi Apicella. Oltre che sulla richiesta di archiviazione, però, il gip dovrà deciderà sul rinvio a giudizio degli altri magistrati: l’ex procuratore capo Mariano Lombardi (fu lui ad avocare Poseidone a De Magistris), il procuratore generale reggente Dolcino Favi (avocò l’inchiesta Why Not) e il procuratore aggiunto Salvatore Murone. Le indagini della procura di Salerno ipotizzano, tra vari reati, anche la corruzione in atti giudiziari.

A trarre vantaggio dalla revoca di Poseidone, secondo l’accusa, furono Pittelli e Galati che, negli atti della chiusura d’indagine, appaiono come “istigatori” delle “condotte illecite” di Lombardi e Murone. “L’inevitabile stagnazione delle attività istruttorie in corso”, aveva scritto l’accusa nella chiusura dell’inchiesta, portò a “favorire le persone implicate nelle indagini, in particolare Pittelli e Galati i quali, in un più ampio contesto corruttivo (…) s’erano adoperati per far ricevere sia a Lombardi, sia a suo figlio Pierpaolo Greco, denaro o altre utilità”.

Illegale anche l’avocazione di Why Not: de Magistris, aveva iscritto nel registro degli indagati l’ex ministro Clemente Mastella (poi archiviato dalla procura di Catanzaro). Favi avocò l’inchiesta ipotizzando, per de Magistris, un “conflitto d’interessi”, poiché Mastella aveva avviato un’indagine disciplinare sul pm. “Conflitto d’interessi” che, secondo la procura salernitana, non s’è mai verificato, tanto da sostenere che “veniva attestata, in un atto pubblico, una situazione contraria al vero”. Per questo filone sono indagati Favi e Saladino che, all’epoca, era il principale accusato (poi condannato) nell’inchiesta Why Not.

“La procura di Salerno – ha commentato De Magistris, oggi europarlamentare dell’Idv – conferma che Why Not e Poseidone mi furono sottratte illegalmente, in seguito ad un accordo corruttivo, tra i vertici degli uffici di Procura e alcuni indagati”. “Nonostante il Csm fosse informato da tempo – prosegue – sulle gravi commistioni e le illegalità che interessavano i vertici degli uffici giudiziari di Catanzaro, non ha mai ritenuto di dovere intervenire. Oggi Murone è il titolare dell’inchiesta sugli attentati al procuratore generale di Reggio Calabria. Quello stesso Csm ha invece dimostrato una solerzia straordinaria quando, al termine di processi disciplinari farsa, ha proceduto all’esecuzione professionale mia e dei colleghi di Salerno”.

Pittelli replica: “De Magistris dovrebbe sapere, ma sarebbe pretendere troppo dalla sua cultura giuridica, che la richiesta di rinvio a giudizio rappresenta soltanto un’ipotesi di accusa tutta da verificare. La parte più interessante di tutta la storia deve essere ancora scritta. E la verità, su gruppi e manipoli, non tarderà a ristabilire gli esatti contorni della più vergognosa impostura mai verificata in ambito giudiziario-politico”.

Nell’attesa che la “vergognosa impostura” evocata da Pittelli venga dimostrata, o quanto meno accennata, bisogna registrare questa storia annovera la punizione, da parte del Csm, di almeno quattro pm. Ai quali va aggiunta Clementina Forleo che, (anche) per aver difeso De Magistris durante Annozero, fu prima incolpata e poi trasferita (per incompatibilità ambientale) dalla Procura di Milano. Oltre alle richieste di rinvio a giudizio (e di archiviazione), quindi, in questa vicenda pesa anche il ruolo del Csm dell’epoca, soprattutto se consideriamo che in questi giorni, altri tre pm, confermano (nelle sue parti essenziali) l’impianto accusatorio di Nuzzi e Verasani e, con esso, il “complotto” per sottrarre, in maniera illegale, le indagini all’ex pm napoletano.

da il Fatto Quotidiano del 3 settembre 2010

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/03/chiesto-giudizio-per-le-togheche-fermarono-de-magistris/56040/

mercoledì 24 dicembre 2008

Marco Travaglio - I Ladri - 11/12/2008 De Magistris appalti Calabria Sicilia


martedì 19 giugno 2007... c'era una volta...

CALABRIA E NON SOLO. Operazione «Why Not»: 19 persone indagate (tutti apparentemente facenti parte della Loggia Massonica di San Marino). I reati contestati, a vario titolo, sono quelli di associazione a delinquere, corruzione, violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, truffa, finanziamento illecito ai partiti - a cura di Federico La Sala

Calabria, perquisiti politici, generali e spioni *

Una vasta operazione dei carabinieri di Catanzaro ha portato alla perquisizione, su ordine della Procura della Repubblica di Catanzaro, di uffici e abitazioni in tutta Italia di oltre venti persone coinvolte in un’inchiesta denominata «Why Not». I reati contestati, a vario titolo, sono quelli di associazione a delinquere, corruzione, violazione della legge Anselmi (non trovo il link, se lo trovate mandatemelo) sulle associazioni segrete, truffa, finanziamento illecito ai partiti. Indagati politici calabresi, funzionari regionali, il capocentro del Sismi di Padova e una funzionaria del Cesis (l’ufficio di coordinamento dei servizi segreti). Indagini anche su Giorgo Vittadini, ex presidente nazionale della Compagnia delle Opere, e attuale presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, un’altra società facente capo a Comunione e liberazione.

Tra gli indagati anche il generale della Guardia di Finanza Paolo Poletti, attuale capo di Stato Maggiore del Corpo. Nella notte sono stati perquisiti i suoi uffici, a Roma. Dal decreto di perquisizione risulta che il generale Poletti è indagato per truffa, truffa aggravata ed associazione a delinquere.

Queste le 19 persone indagate: Franco Bonferroni, residente a Reggio Emilia,. del cda di Finmeccanica; Pietro Macrì, imprenditore, di Vibo Valentia ; Luigi Filippo Mamone e Francesco De Grano, entrambi dirigenti della Regione Calabria; Valerio Carducci, di Bagno a Ripoli; Gianfranco Luzzo, ex assessore regionale alla Sanità; Mario Pirillo, assessore all’Agricoltura della Regione; Massimo Stellato di Abano Terme, capocentro del Sismi di Padova, e il fratello Gianmario; Vincenzo Bifano, di Lamezia Terme, Gerardo Carnevale, componente dello staff del consigliere regionale Ds della Calabria, Antonio Acri; Angela De Grano di Vibo Valentia; Nicola Adamo, vicepresidente della Regione e assessore al Turismo; Antonio Acri, consigliere regionale; Brunella Bruno, di Roma, appartenente al Cesis; Armando Zuliani, di Brenna, imprenditore; Francesco Indrieri, di Cosenza, commercialista; Salvatore Domenico Galati, 40, di Vibo Valentia, già collaboratore dello staff del senatore e coordinatore regionale di Forza Italia Giancarlo Pittelli; Piero Scarpellini, di Rimini.

Molte le proteste provocate da questa ondata di perquisizioni. Indignato il diessino Nicola Adamo, vicepresidente della regione. «Basta con questa caccia all’uomo. Però, non ho fiducia che ciò possa essere fatto da un ufficio giudiziario che nell’aula sovrana del Parlamento della Repubblica Italiana è stato definito un verminaio». Adamo sostiene di aver ricevuto un avviso di garanzia a settembre e di aver chiesto di essere sentito dal magistrato, senza ottenere risposta. «Più che ipotesi di reato mi sembra di leggere, attraverso l’ordinanza, un vero e proprio calunnioso manifesto politico. Il colmo - secondo Adamo - si raggiunge quando leggo, tra l’altro, che a diffamarmi di una infamia assolutamente infondata è una signora, contro la quale ho già disposto querela, sposata con il giudice che ha arrestato illegittimamente l’on. Franco Pacenza. Pretendo, se fondate e possibili, contestazioni a mio carico; mi si scruti fino in fondo ed in ogni direzione».

L’operazione è denominata «Why Not», dal nome di una società di lavoro interinale con sede a Lamezia Terme che «presta» lavoratori alla Regione per servizi di gestione banche dati e altri servizi informatici. Proprio nei giorni scorsi i lavoratori della «Why Not» hanno inscenato una protesta sotto la sede della giunta regionale per rivendicare il rinnovo del loro contratto di lavoro, scaduto da tempo.

Proprio una lavoratrice della «Why Not», la cui identità viene tenuta segreta, avrebbe dato il via alle indagini di De Magistris, che ha individuato un gruppo di potere trasversale, tenuto insieme da una loggia massonica coperta (la «San Marino»), usata come collante per l’attuazione del disegno criminoso. A questa loggia, una vera e propria lobby sospettata di aver influito sulle scelte di amministrazioni pubbliche per l’utilizzo di finanziamenti e l’assegnazione di appalti, sarebbe iscritta una parte degli indagati.

* l’Unità, Pubblicato il: 18.06.07, Modificato il: 18.06.07 alle ore 18.48


FINANZIAMENTI PUBBLICI, TRUFFE E MASSONERIA *

CATANZARO - Ruota attorno al ruolo della Loggia di San Marino, una loggia massonica coperta della quale avrebbe fatto parte la maggiore parte degli indagati, un’inchiesta della Procura della Repubblica di Catanzaro sul gruppo di potere trasversale che avrebbe gestito truffe utilizzando finanziamenti pubblici. Sono 26 le perquisizioni fatte dai carabinieri in Calabria, a Roma, Padova e Milano.

La loggia di San Marino ha rappresentato il collante che avrebbe unito gli indagati creando tra loro un vincolo che era la premessa per l’ attuazione del disegno criminoso su cui avrebbe fatto luce l’ inchiesta. Il ruolo svolto dalla loggia, costituita in violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, sarebbe stato quello di una vera e propria lobby che ha influito sulle scelte di amministrazioni pubbliche per l’utilizzo di finanziamenti e l’ assegnazione di appalti. Della Loggia di San Marino avrebbero fatto parte anche massoni in sonno che avrebbero mantenuto, grazie alla loro appartenenza al gruppo, il vincolo massonico con altri associati finalizzato alla gestione di affari basati sull’ utilizzo di finanziamenti pubblici.

A venti delle persone che hanno subito le perquisizioni i carabinieri hanno notificato contestualmente informazioni di garanzia, emesse dal sostituto procuratore Luigi De Magistris, in cui si ipotizzano, a vario titolo, reati che vanno dall’ associazione per delinquere, alla truffa, alla corruzione, alla violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete al finanziamento illecito dei partiti.

PERQUISIZIONI IN UFFICI CONSIGLIO REGIONE CALABRIA

Perquisizione dei carabinieri negli uffici del Consiglio Regionale della Calabria effettuata in alcuni degli uffici privati dei consiglieri e degli assessori regionali, disposta dalla Procura di Catanzaro.

INDAGATO ANCHE GEN. POLETTI (GDF)

Nell’inchiesta della Procura di Catanzaro ha subito una perquisizione anche il generale Paolo Poletti, della Guardia di Finanza, di 51 anni, attuale capo di Stato Maggiore delle Fiamme Gialle. Poletti è accusato di avere fatto parte all’epoca dei fatti in questione (cioé dal 2001 in avanti) di un presunto gruppo di potere che avrebbe gestito affari con truffe basate sull’utilizzo di finanziamenti pubblici, statali e comunitari. Secondo l’accusa sarebbe stato il punto di riferimento dell’ imprenditore calabrese Antonio Saladino, ex presidente della Compagnia delle Opere della Calabria, le cui attività rappresentano uno dei filoni principali dell’inchiesta.

LE INFORMAZIONI DI GARANZIA

Le persone che hanno ricevuto le informazioni di garanzia sono Franco Bonferroni, consigliere d’ amministrazione di Finmeccanica e con cariche in diverse società e con collegamenti con esponenti del mondo bancario ed imprenditoriale; Pietro Macrì, presidente della società Met Sviluppo e del settore terziario della Confindustria di Vibo Valentia; Luigi Filippo Mamone, dirigente della Regione Calabria; Francesco De Grano, dirigente della Regione Calabria e responsabile del settore finanziamenti Por 2007-2013; Maria Angela De Grano, sorella di Francesco, con cariche in diverse società; Paolo Poletti, capo di stato maggiore della Guardia di finanza; Valerio Carducci, punto di riferimento di Antonio Saladino (ex presidente della Compagnia delle opere della Calabria) per i contatti con gli ambienti parlamentari; Gianfranco Luzzo, ex assessore alla Sanità della Regione Calabria, anch’ egli legato a Saladino; Mario Pirillo, attuale assessore all’ Agricoltura della Regione Calabria; Massimo Stellato, capocentro del Sismi di Padova, ed il fratello Gianmario; Vincenzo Bifano, persona che insieme a Saladino avrebbe avuto un ruolo di rilievo nell’ attuazione del presunto disegno criminoso; Gerardo Carnevale, componente dello staff del consigliere regionale della Calabria dei Ds Antonio Acri; Nicola Adamo, vicepresidente della Regione Calabria ed assessore al Turismo; Antonio Acri, consigliere regionale della Calabria; Brunella Bruno, in servizio al Cesis, indicata come persona legata ai generali della Guardia di finanza Cretella e Poletti; Armando Zuliani, imprenditore; Francesco Indrieri, commercialista, persona vicina all’ imprenditore del settore della grande distribuzione commerciale Antonio Gatto; Salvatore Domenico Galati, componente dello staff del senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, coordinatore regionale del partito, e Piero Scarpellini, imprenditore emiliano.

* ANSA » 2007-06-18 14:51

VIA DI QUI. CATTIVI MAGISTRATI E CATTIVI GIORNALISTI


17.12.2008
VIA DI QUI. CATTIVI MAGISTRATI E CATTIVI GIORNALISTI
di salvo smentita

Carlo Vulpio, giornalista del Corriere della Sera che il direttore Paolo Mieli ha rimosso dall'inchiesta sul caso Catanzaro, scrive la sua. Ne ha per tutti, colleghi compresi

Dal blog di Carlo Vulpio

Avevo fatto una battuta: avevo detto: i giornalisti, a differenza dei magistrati, non possono essere trasferiti. Avrei fatto meglio a stare zitto. Da lì a poco sarei stato “trasferito” anch’io.

E’ stato la sera del 3 dicembre, dopo che sul mio giornale era uscito un mio servizio da Catanzaro sulle perquisizioni e i sequestri ordinati dalla procura di Salerno nei confronti di otto magistrati calabresi e di altri politici e imprenditori.

Come sempre, non solo durante questa inchiesta, ma perché questo è il mio modo di lavorare, avevo “fatto i nomi”. E cioè, non avevo omesso di scrivere i nomi di chi compariva negli atti giudiziari (il decreto di perquisizione dei magistrati di Salerno, che trovate sul blog di Carlo Vulpino in versione integrale) non più coperti da segreto istruttorio. Tutto qui. Nomi noti, per lo più. Accompagnati però da qualche “new entry”: per esempio, Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, Mario Delli Priscoli, procuratore generale della Corte di Cassazione, Simone Luerti, presidente dell’Associazione nazionale magistrati.

Con una telefonata, il giorno stesso dell’uscita del mio articolo, la sera del 3 dicembre appunto, invece di sostenermi nel continuare a lavorare sul “caso Catanzaro” (non chiamiamolo più “caso de Magistris”, per favore, altrimenti sembra che il problema sia l’ex pm calabrese e non ciò che stanno combinando a lui, a noi, alla giustizia e alla società italiana), invece di farmi continuare a lavorare – dicevo –, come sarebbe stato giusto e naturale, sono stato sollevato dall’incarico.

Esonerato. Rimosso. Congedato. Trasferito.

Con una telefonata, il mio direttore, Paolo Mieli, ha dichiarato concluso il mio viaggio fra Catanzaro e Salerno, Potenza e San Marino, Roma e Lamezia Terme. Un viaggio cominciato il 27 febbraio 2007, quando scoppiò “Toghe Lucane” (la terza inchiesta di de Magistris, con “Operazione Poseidone” e “Why Not”). Un viaggio che mi fece subito capire che da quel momento in poi nulla sarebbe stato più come prima all’interno della magistratura e in Italia.

Tanto è vero che successivamente ho avvertito la necessità di scrivere un libro (“Roba Nostra”, Il Saggiatore), che, dicevo mentre lo consegnavo alle stampe, “è un libro al futuro”. Una battuta anche questa, certo, perché come si fa a prevedere il futuro? In un libro, poi, che si occupa di incroci pericolosi tra politica, giustizia e affari sporchi… Ma si vede che negli ultimi tempi le battute mi riescono piuttosto bene, visto che anche questa, come quella sul “trasferimento” dei giornalisti, si è avverata.

Avevo detto – e lo racconto in “Roba Nostra” – che in Basilicata l’anno scorso è stato avviato un esperimento, che, se nessuno fosse intervenuto, sarebbe stato riprodotto da qualche altra parte in maniera più ampia e più disastrosa.

E’ accaduto che mentre la procura di Catanzaro (c’era ancora de Magistris) stava indagando su un bel numero di magistrati lucani, di Potenza e di Matera, la procura di Matera (gli indagati) si è messa a indagare sugli indagatori (de Magistris). Come? Surrettiziamente. E cioè? Si è inventato il reato di “associazione a delinquere finalizzato alla diffamazione a mezzo stampa” e ha messo sotto controllo i telefoni di cinque giornalisti (me compreso) e un ufficiale dei carabinieri (quello delegato da de Magistris per le indagini sui magistrati lucani). Così facendo, i magistrati indagati hanno potuto conoscere cosa si dicevano gli indagatori (de Magistris e l’ufficiale delegato a indagare).

Avvertivo: guardate che così va a finire male.

Chiedevo: caro Csm, caro Capo dello Stato, intervenite subito.

Niente. Nemmeno una parola, un singulto, un cenno. Nemmeno quando era chiaro a tutti che quei magistrati lucani, al di là di ogni altra considerazione, vedevano ormai compromessa la loro terzietà. Un magistrato - si dice sempre, e a ragione -, come la moglie di Cesare, deve non soltanto “essere”, ma anche “apparire” imparziale, terzo, non sospettabile di alcunché. Per i magistrati lucani, invece, non è così. Nonostante siano parti in causa, essi continuano a indagare sugli indagatori, chiedono e ottengono proroghe di indagini (siamo alla quarta) perché, dicono, il reato che si sono inventati, l’associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa, è complicatissimo. E rimangono al proprio posto nonostante le associazioni regionali degli avvocati ne chiedano il trasferimento, per consentire un funzionamento appena credibile della giustizia.

Niente. Si è lasciato incancrenire il problema ed ecco replicato l’esperimento a Catanzaro. La “guerra” fra procure non è altro che la riproduzione di quel corto circuito messo in atto da indagati che indagano sui loro indagatori, affinché, rovesciato il tavolo e saltate per aria le carte, non si sappia più chi ha torto e chi ha ragione perché, appunto, “c’è la guerra”. E dopo la “guerra”, ecco la “tregua” o, se preferite, “l’armistizio” (così, banalmente ma non meno consapevolmente, tutti i giornali, salvo rarissime eccezioni di singoli commentatori).

Guerra e tregua. E’ questo il titolo dell’ultima, penosa sceneggiata italiana su una vicenda, scrivo in “Roba Nostra”, che è la “nuova Tangentopoli” italiana. Quando, sei mesi fa, è uscito il libro, qualcuno mi ha chiesto se non esagerassi. Adesso, l’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dichiara: “Ciò che sta accadendo oggi è peggio di Tangentopoli”. E Primo Greganti, uno che se ne intende, ammette anche lui, che “sì, oggi è peggio di Tangentopoli”.

Infine, una curiosità, o una coincidenza, o un suggerimento per una puntata al gioco del Lotto, fate voi.

Mi hanno rimosso dal servizio che stavo seguendo a Catanzaro il 3 dicembre 2008. Esattamente un anno prima, il 3 dicembre 2007, Letizia Vacca, membro del Csm, anticipava “urbi et orbi” la decisione che poi il Csm avrebbe preso su Clementina Forleo e Luigi de Magistris. “Sono due cattivi magistrati, due figure negative”, disse la Vacca. E Forleo e de Magistris sono stati trasferiti. Per me, più modestamente, è bastata una telefonata. Ma diceva più o meno la stessa cosa. Diceva che sono un cattivo giornalista.

Carlo Vulpio

Aggiornamento. Sempre dal blog di Carlo Vulpio

E i rappresentanti dei giornalisti, cosa fanno?

Molti di voi in questi giorni mi chiedono: ma cosa hanno fatto i giornalisti, cos'ha fatto il Comitato di Redazione (l'organo interno eletto dai giornalisti di una testata, che li rappresenta nei confronti della direzione politica e dell'editore) per questa vicenda?

Rispondo: finora non hanno fatto nulla. Né i giornalisti, né il CdR.

Per questo ho scritto al CdR una lettera, in cui non rinuncio certo alla "tutela sindacale" (avercela!), ma con cui esprimo tutto il mio scetticismo - visti i precedenti - sulla reale possibilità che il CdR "faccia qualcosa".

Questa lettera doveva restare una lettera riservata al solo CdR.

Senonché, un componente del CdR medesimo, sentendosi colpito da quelle che definisce "le contumelie di Vulpio", ha pensato bene di diramare alla redazione completa (380 giornalisti) una sua letterina tutta offesa per ciò che gli veniva attribuito.

A questo punto, sono stato (davvero) costretto a diffondere in tutta la redazione la mia lettera al CdR e un altro scambio epistolare tra due colleghi del Corriere, Enzo Marzo (che sul suo sito Critica Liberale ha affrontato la questione e mi ha appoggiato in pieno) e Massimo Alberizzi, che chiedeva lumi in seguito alle cose (false) riferitegli da questo membro del CdR sul mio conto.

Con la pubblicazione di tutto questo "carteggio" è stata ripristinata la verità dei fatti, l'intera redazione ha potuto capire di cosa stessimo parlando e il membro del CdR (che parla di "caso Vulpio", quando invece il "caso" è lui) è stato sbugiardato "in diretta".

Ora, se tutto questo è stato portato a conoscenza di 380 giornalisti (più tutte le altre persone che ognuno intenderà eventualmente rendere partecipi della story), mi chiedo perché mai dovrei privare voi, i miei affezionati venticinque lettori, di una lettura così istruttiva... E infatti non ve ne privo. Vi suggerisco soltanto un'avvertenza per l'uso: leggete prima la mia lettera al CdR, poi la lettera del membro del CdR medesimo, infine lo scambio di mail Marzo-Alberizzi. E fatevi un'idea.

Carlo Vulpio

Firma la petizione
http://www.firmiamo.it/siamotutticarlovulpio


fonti:
http://www.carlovulpio.it
http://www.ilbarbieredellasera.com