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lunedì 22 febbraio 2010

Ciancimino jr e la fine del padre «Qualcuno può averlo ucciso»

Mafia «Aveva detto: parlerò se condannate Andreotti. Morì due giorni dopo la prima sentenza»
Ciancimino jr e la fine del padre «Qualcuno può averlo ucciso»
I dubbi del figlio: «Morì a Roma, solo con la badante romena. Aveva visto il suo medico: tutto a posto. Cosa accadde?» Al processo per riciclaggio: un prestanome consuocero di un giudice antimafia Il suo tesoro? Faceva tutto Ezio Brancato, imparentato con il magistrato antimafia Giusto Sciacchitano Bisognerebbe riesumare il cadavere, ma darei un dolore infinito a mia madre e ai miei fratelli

BOLOGNA - Rivela l' identità del prestanome di suo padre, Vito Ciancimino, e apre un inquietante scenario sulla famiglia di un alto magistrato antimafia. Elenca i soci occulti e palesi di politici in affari con l' ex sindaco di Palermo. Racconta di tre milioni di euro come «cassa» aperta alla vigilia delle europee del 2004. E fra le pieghe di questo nuovo look da quasi pentito Massimo Ciancimino, il rampollo del defunto Don Vito, sussurra un dubbio atroce: «Qualcuno potrebbe avere ucciso mio padre». Una rivelazione choc estranea al processo d' appello per riciclaggio tenuto ieri a Bologna, ma consegnata con la copia di un verbale del ' 93 ai due magistrati di Palermo che lo stanno interrogando sulla «trattativa» fra Stato e mafia: «Ho sempre avuto mille dubbi. Io ero in Sicilia quando lui morì a Roma, solo con la badante rumena poi subito espulsa dall' Italia. Era uscito quella mattina da una clinica per un check-up. Aveva visto il suo medico personale. Tutto a posto. Cosa accadde nel pomeriggio e la sera nessuno lo sa...». Forse non ha mai letto «La provincia dell' uomo» di Elias Canetti, ma Ciancimino junior fa riecheggiare la frase ripresa anche da Sciascia in epigrafe all' «Affaire Moro»: «Qualcuno è morto al momento giusto». E lo dice vagando e sospettando su questa morte finora senza sospetti: «Sì, potrebbe essere stato ucciso al momento giusto...». Dice e non dice, come da tradizione di famiglia, pronto a correggere e smentire, ma gelando i suoi eccellenti interlocutori, i pubblici ministeri Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. Davanti a loro avrebbe tirato fuori un dimenticato verbale del ' 93 quando l' allora procuratore Caselli, con lo stesso Ingroia vicino, provò a stanare Ciancimino padre. «Foste voi a chiedergli di collaborare, di saltare il Rubicone», ricostruisce Massimo Ciancimino. E tira fuori il verbale: «Ecco la risposta di mio padre: "Quando Andreotti sarà condannato anche a un solo giorno, non disperate, verrò io a trovarvi"». E il figlio di Don Vito s' aggrappa al calendario: «La prima condanna di Andreotti a Perugia per il processo Pecorelli è del 17 novembre 2002. E mio padre muore alle 5 del mattino del 19». Poi, ancora più esplicito: «Quando al cinema ho visto il Divo ho pensato a tutto questo. Perché Andreotti, al di là della sua persona, forse era il simbolo che bloccava tutto...». La suggestione potrebbe prevalere e il ragazzo non sa se andare fino in fondo: «So che per rispondere ai miei dubbi bisognerebbe riesumare il cadavere, ma darei un dolore infinito a mia madre, ai miei fratelli che mi rimproverano questo e altro, "Chi te lo fa fare?"». Ecco una pagina destinata ad alimentare una tempesta di polemiche. Come i temi rilanciati ieri a Bologna dentro e fuori l' aula. A cominciare dalla ricostruzione del «Tesoro Ciancimino» e dall' indicazione del presunto «prestanome»: «Faceva tutto Ezio Brancato, consuocero dell' alto magistrato della Direzione nazionale antimafia Giusto Sciacchitano. Finora non hanno indagato come si doveva su Brancato, nemmeno dopo il divorzio della figlia Monia...». E dopo questo attacco contenuto anche nei verbali del suo coimputato, Gianni Lapis, ecco i riferimenti alla composizione della «Gas», il contenitore inventato da Ciancimino padre, una società venduta a un gruppo spagnolo per 112 miliardi di euro: «Oltre Lima, Calogero Pumilia e altri, nella compagine con o senza quote ufficiali c' era pure Carlo Vizzini, come mi disse mio padre». Ricordi legati agli intrighi degli anni Ottanta: «C' era dietro un mondo democristiano e un pezzo del partito socialdemocratico. Davano la copertura politica alla Gas...». E il suo avvocato Giuliano Dominici quasi lo blocca, prima dell' inizio dell' udienza, davanti a un gruppo di cronisti: «Ma ti stai zitto?». Felice Cavallaro

Cavallaro Felice

(24 marzo 2009) - Corriere della Sera

giovedì 9 luglio 2009

Lettera di don Vito Ciancimino a Berlusconi

da l'Espresso online

Una missiva che documenta i rapporti tra Berlusconi e Cosa Nostra. Anche dopo la "discesa in campo". E' stata trovata tra le carte di Vito Ciancimino. E "L'espresso" la pubblica in esclusiva.

Adesso c'è la prova documentale. Davvero, secondo la procura di Palermo, Silvio Berlusconi era in contatto con i vertici di Cosa Nostra anche dopo la sua "discesa in campo", come era stato già stato raccontato da molti collaboratori di giustizia.

I corleonesi di Bernardo Provenzano, infatti, scrivevano al premier per minacciarlo, blandirlo, chiedere il suo appoggio e offrirgli il loro. Lo si può leggere, qui, nero su bianco, in questa lettera da tre giorni depositata a Palermo gli atti del processo d'appello per riciclaggio contro Massimo Ciancimino, uno dei figli di don Vito, l'ex sindaco mafioso di Palermo, morto nel 2002.

Una lettera che "L'Espresso" online pubblica in esclusiva. Si tratta della seconda parte di una missiva (quella iniziale sembra essere stata stracciata e comunque è andata per il momento smarrita) in cui in corsivo sono state scritte le seguenti frasi: "... posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi.Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive".

per leggere l'intero articolo:http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/?r=85823