“È la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani... A ogni piano, mentre cade, l'uomo non smette di ripetere: "Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene"...ma l'importante non è la caduta ...ma l'atterraggio” (“L'odio” Film Francia, 1995. Regia, Mathieu Kassowitz).
Bashar al-Asad sembra voler proseguire per la strada finora intrapresa: repressione delle proteste, denuncia del complotto straniero e divieto di accesso al paese per media e organizzazioni umanitarie, che però lo sta spingendo in un vicolo cieco. Forse ha ragione Abdel Halim Khaddam - vice-presidente siriano dal 1984 al 2005, ora in esilio in Francia - quando afferma che il regime siriano è “irriformabile”. Come pretendere, allora, da un regime “irriformabile” l'apertura di un dialogo con l'opposizione e magari la formazione di un governo di unità nazionale per attuare riforme condivise?
L'ultimo capitolo di questa vicenda a senso unico è la sospensione della Siria dalla Lega degli stati arabi (Lsa). Il provvedimento, che ha colto tutti di sorpresa, è arrivato pochi giorni dopo che le trattative tra la Lsa e Damasco - promosse dal blocco delle monarchie del Golfo (Arabia saudita, Bahrein, Emirati arabi, Kuwait, Oman e Qatar) vicine agli Stati uniti e che non digeriscono l'alleanza siro-iraniana - avevano portato ad un accordo che indirizzasse il paese fuori dalla crisi. La “road map” prevedeva lo stop delle violenze, il ritiro dei carri armati e dell'esercito dalle strade, il rilascio delle centinaia di persone arrestate, l'ingresso e la libera circolazione nel paese di media ed organizzazioni umanitarie internazionali, l'avvio del dialogo tra regime ed opposizioni. Com'era prevedibile, il regime non ha dato alcun seguito alle obbligazioni sottoscritte. La Lsa ha dunque convocato una riunione d'emergenza, tenutasi il 12 novembre, durante la quale si è consumata la rottura, approvata da 18 paesi (su 22), con tre contrari (Siria, Libano e Yemen) e un astenuto, l'Iraq. Ancora più dirompenti sono stati i termini della rottura che prevedono, oltre alla sospensione della Siria, l'adozione di sanzioni economiche e politiche, tra cui il ritiro degli ambasciatori da Damasco, e un appello alle opposizioni affinché "si mettano d'accordo su di un progetto unico per la gestione della prossima transizione". Inoltre, la Lsa non ha escluso, al fine di proteggere la popolazione siriana, la possibilità di richiedere l'intervento di organizzazioni umanitarie, Nazioni unite incluse. Lo scenario che si delinea è quello di un Bashar al-Asad tagliato fuori. Da un lato, il regime viene ancor più isolato e delegittimato per non aver rispettato l'accordo. Dall'altro, l'apertura della Lsa al Consiglio nazionale siriano (Cns), ha elevato de facto quest'ultimo a portavoce legittimo del popolo siriano, tanto da conferirgli il compito di gestire la “prossima transizione”.
Timore di una “libizzazione” della crisi siriana
Il regime siriano ha definito il provvedimento di sospensione come “illegale” e dettato dall'agenda degli Stati uniti che vorrebbero aprire, in Siria, uno scenario simile a quello che ha portato alla caduta di Gheddafi in Libia. Le stesse motivazioni hanno indotto, il 4 ottobre scorso, Russia e Cina ad opporsi, con un doppio veto al Consiglio di sicurezza dell'Onu (Cds), alla proposta di risoluzione avanzata da alcuni paesi europei. Il veto russo-cinese è stato motivato dall'introduzione, nel documento, della possibilità di “misure mirate” contro il regime di al-Asad. Tra le “misure mirate” erano contemplate sanzioni economiche e/o interventi di tipo militare, ad esempio una “no fly zone” di libica memoria. Questo tipo di azione era stato più volte invocato da una parte dell'opposizione siriana vicina alla Turchia, allo scopo di dare una “copertura” alle operazioni dell'”Esercito siriano libero”. Il punto è che il regime siriano, a differenza di quello libico" non ha mai utilizzato l'aviazione. Viceversa, un'altra parte dell'opposizione si è sempre dichiarata contraria alla militarizzazione della crisi, temendo che questa possa far degenerare le divisioni etniche e confessionali in guerra civile. Lo stesso presidente del Consiglio nazionale siriano (Cns), Burhan Ghaliun, si è detto favorevole ad un intervento internazionale, se limitato ad osservatori ed organismi umanitari. Il Comitato nazionale di coordinamento (Cnc), composto dagli oppositori della “vecchia guardia”, tra cui Michel Kilo ed Hassan Abdel Azim, si è mostrato, invece, critico verso qualsiasi tipo di ingerenza esterna. Al riguardo, è stato molto chiaro il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, dichiarando più volte che un intervento militare in Siria è da escludere.
Diritti umani o geopolitica
Ciò che era uscito dalla porta delle Nazioni unite è rientrato dalla finestra della Lega araba. I paesi arabi, in molti dei quali i diritti umani semplicemente non esistono, si propongono come difensori della “primavera siriana”. Come giustificare questa contraddizione? Da un lato, la volontà di recidere i legami tra il regime al-Asad e l'Iran e controllare la transizione siriana, accomuna paesi influenti come le monarchie del golfo e gli Stati uniti, d'altra parte, la “primavera araba” non è finita ed è chiaro a tutti che è meglio farsela amica che reprimerla. Non si escludono controindicazioni nel lungo periodo. La Russia continua a sostenere Asad, avendo già condannato il provvedimento della Lsa e non avendo trovato un terreno d'intesa con l'opposizione. L'Iran, impegnato nel conflitto “nucleare”, causato dal rapporto recentemente pubblicato dalla International atomic energy agency (IAEA), non si è ancora pronunciato, ma il voto contrario del Libano e l'intenzione dell'Iraq di non ritirare il proprio ambasciatore a Damasco, sono segnali chiari. Due domande si pongono: come reagirà il regime siriano? Anche alla luce delle recenti dichiarazioni di Bashar al-Asad secondo cui gli basterebbero poche ore per mettere a ferro e fuoco il Medio oriente. Ma soprattutto, che ne sarà delle aspirazioni del popolo siriano?
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